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LE STORIE DEL CASTELLO DI TREZZA 4 часть
La moglie gli rivolse uno sguardo distratto, e soggiunse: - Scusami, sai! - Il raggio di sole prima di tramontare si insinuò per un crepaccio a fior d'acqua, e illuminò improvvisamente il fondo di quella specie di pozzo ch'era stato il trabocchetto, le punte aguzze delle nere pareti, i ciottoli bianchi che spiccavano sul muschio e l'umidità del fondo, e i licheni rachitici che l'autunno imporporava. Il sorriso era sparito dal viso della signora spensierata, e volgendosi al marito, timida, carezzevole, imbarazzata: - Vieni? - gli disse. - Bada, - rispose il signor Giordano col suo ironico sorriso; - ci vedrai le ossa di quel bel cavaliere, e farai brutti sogni stanotte -. Ella non rispose, non si mosse, stava chinata sulla buca; appoggiandosi ai sassi che la circondavano; infine, con voce sorda: - In fatti... c'è qualcosa di bianco, laggiù in fondo... - E senza attendere risposta: - Se quest'uomo è caduto qui, ha dovuto afferrarsi per istinto a quella punta di scoglio... vedete? si direbbe che c'è ancora del sangue -. Suo marito vi buttò il sigaro spento, e volse le spalle; ella rabbrividì, come se avesse visto profanare una tomba, si fece rossa, e si rizzò per andarsene. Era una graziosa bruna, palliduccia, delicata, nervosa, con grandi e begli occhi neri e profondi; il piede le sdrucciolò un istante sul sasso mal fermo, vacillò, e dovette afferrarsi alla mano di Luciano. - Grazie! - gli disse con un sorriso intraducibile. - Si direbbe che l'abisso mi chiama -.
II.
Il pranzo era stato eccellente; non per nulla il signor Giordano preferiva la campana del desinare alle leggende del Castello. Verso le undici alla villa si pestava sul piano, si saltava nel salotto e si giuocava a carte nelle altre stanze. La signora Matilde era andata a prendere una boccata d'aria in giardino, e s'era dimenticata di una polca che aveva promessa al signor Luciano, il quale la cercava da mezz'ora. - Alfine! - le disse scorgendola. - E la nostra polca? - Ci tiene proprio? - Molto. - Se la lasciassimo lì? - Povera polca! - Francamente, sa... Ella racconta così bene certe storie, che non l'avrei creduto un ballerino cotanto arrabbiato... - Ci crede dunque alle storie? - Ma... secondo il quarto d'ora -. Il silenzio era profondo; il vento cacciava le nuvole rapidamente, e di tanto in tanto faceva stormire gli alberi del giardino; il cielo era inargentato a strappi; le ombre sembravano inseguirsi sulla terra illuminata dalla luna, e il mormorio del mare e quel sussurrio delle foglie, sommesso, ad intervalli, a quell'ora aveano un non so che di misterioso. La signora Matilde volse gli occhi qua e là, in aria distratta, e li posò sulla mole nera e gigantesca del castello che disegnavasi con profili fantastici su quel fondo cangiante ad ogni momento. La luce e le ombre si alternavano rapidamente sulle rovine, e un arbusto che avea messo radici sul più alto rivellino, agitavasi di tanto in tanto, come un grottesco fantasma che s'inchinasse verso l'abisso. - Vede? - diss'ella con quel sorriso incerto e colla voce mal ferma. - C'è qualche cosa che vive e si agita lassù! - Gli spettri della leggenda. - Chissà! - Cotesto è il quarto d'ora delle storie... - Oppure... - Oppure cosa? - Chissà... Cosa fa mio marito? - Giuoca a tresette. - E la signora Olani? - Sta a guardare. - Ah!... - Mi racconti la sua storia... - riprese da lì a poco, con singolare vivacità - se non le rincresce per la sua polca -. La storia che Luciano raccontò era strana davvero! La seconda moglie del barone d'Arvelo era una Monforte, nobile come il re e povera come Giobbe, forte come un uomo d'arme e tagliata in modo da rispondere per le rime alla galanteria un po' manesca di don Garzia, e da promettergli una nidiata di d'Arvelo, numerosi come le uova che avrebbe potuto covare la chioccia più massaia di Trezza. Prima delle nozze, le avevano detto degli spiriti che si sentivano nel Castello, e che la notte era un gran tramestìo pei corridoi e per le sale, e si trovavano usci aperti e finestre spalancate, senza sapere come né da chi - usci e finestre ch'erano stati ben chiusi il giorno innanzi - che si udivano gemiti dell'altro mondo, e scrosci di risa da far venire le pelle d'oca al più ardito scampaforche che avesse tenuto alabarda e vestito arnese. Donna Isabella avea risposto che, fra lei e un marito come, al vedere, prometteva esserlo don Garzia, ella non avrebbe avuto paura di tutte le streghe di Spagna e di Sicilia, né di tutti i diavoli dell'inferno. Ed era donna da tener parola. La prima volta che si svegliò nel letto dove avea dormito l'ultima notte la povera donna Violante, mentre Grazia, la cameriera della prima moglie del barone, le recava il cioccolatte e apriva le finestre, ancora mezzo addormentata, domandò svogliatamente: - E così, come va che gli spiriti non hanno ballato il trescone di benvenuto alla nuova castellana? - Non s'e sentito stanotte?... - rispose la povera Grazia, che anche a parlare ne avea una gran paura. - Sì, ho udito il russare di don Garzia; e ti so dire che russa come dieci guardie vallone. - Vuol dire che il cappellano ha benedetto la camera meglio delle altre volte. - Ah! sarà così, oppure che faccio paura al diavolo e agli spiriti. - O che sarà per domani. - Eh! hanno dunque il loro cerimoniale, messeri gli spiriti, come nostro signore il re? Racconta dunque! - Io non so nulla, madonna. - Chi sa dunque questa storia? - Mamma Lucia, Brigida, Maso il cuoco, Anselmo ed il Rosso, i due valletti di messere il barone, e messer Bruno, il capocaccia. - E cosa hanno visto costoro? - Nulla. - Nulla! Cosa hanno udito dunque? - Hanno udito ogni sorta di cose, che Dio ce ne liberi! - E da quando si sono udite di queste cose che Dio ce ne liberi? - Dacché è morta la povera donna Violante, la prima moglie di messere. - Qui? - Proprio qui, in questo lato del castello; ma dalla cima dei merli sino in fondo alle cucine, di cui le finestre danno sulla corte -. La baronessa si mise a ridere, e la sera narrò al marito quel che le era stato detto. Don Garzia, invece di riderne anch'esso, montò in una tal collera che mai la maggiore, e incominciò a bestemmiar Dio e i santi come donna Isabella non avea visto né udito fare dagli staffieri più staffieri che fossero a casa de' suoi fratelli, e a minacciare che se avesse saputo chi si permetteva di spargere cotali fandonie, l'avrebbe fatto saltare dal più alto rivellino del castello. La baronessa fu estremamente sorpresa che quel pezzo di uomo, il quale non doveva aver paura nemmen del diavolo, avesse dato tanto peso a delle sciocche storielle, e in cuor suo ne fu contenta, ché si sentiva più degna del marito di portare i calzoni, e di far la castellana come andava fatto. - Dormite in santa pace, madonna, - le disse don Garzia, - ché qui, nel castello e fuori, pel giro di dieci leghe, sin dove arriva il mio buon diritto e la mia buona spada, non c'è a temere altro che la mia collera - Però la baronessa, sia che le parole del marito l'avessero colpita, sia che delle sciocchezze udite le fosse rimasta qualcosa in mente, si svegliò di soprassalto verso la mezzanotte, credendo d'avere udito, o d'aver sognato, un rumore indistinto, non molto lontano, proprio dietro la parete dell'alcova. Stette in ascolto con un po' di batticuore; ma non s'udiva più nulla, la lampada notturna ardeva ancora, e il barone russava della meglio. Ella non ardì svegliarlo, ma non poté ripigliar sonno. Il giorno dopo la sua donna la trovò pallida e accigliata, e mentre la pettinava dinanzi allo specchio, la baronessa, coi piedi sugli alari e bene avvolta nella sua veste da camera di broccato, le domandò, dopo avere esitato alquanto: - Orsù, dimmi tutto quel che sai degli spiriti del castello. - Io non so altro che quel che ne ho udito raccontare dal Rosso e da Brigida. Volete che vi chiami Brigida? - No! - rispose con vivacità donna Isabella. - Anzi non dire ad anima viva che io te n'abbia parlato... Raccontami quel che t'hanno detto Brigida e il Rosso. - Brigida, quando dormiva nella stanzuccia accanto al corridoio qui vicino, udiva tutte le notti, poco prima o poco dopo dei dodici colpi della campana grossa, aprire la finestra che dà sul ballatoio, e la porta del corridoio. La prima volta che Brigida udì quel rumore fu la seconda domenica dopo Pasqua, la ragazza avea avuto la febbre e non poteva dormire; l'indomani tutti coloro ai quali raccontò il fatto credettero che fosse stato inganno della febbre; ma la poverina a misura che il giorno tramontava aveva una gran paura, e cominciò a parlare in tal modo del gran via vai della notte, che tutti credettero fosse delirante, e mamma Lucia rimase a dormire con lei. L'indomani anche mamma Lucia disse che in quella camera non avrebbe voluto passarci un'altra notte per tutto l'oro del mondo. Allora anche coloro i quali s'erano mostrati più increduli cominciarono ad informarsi e del come e del quando, e Maso raccontò quello che non avea voluto dire per timore di farsi dar la baia dai più coraggiosi. Da più di un mese avea udito rumore anche nel tinello, e s'era accorto che gli spiriti facevano man bassa sulla credenza. A poco a poco raccontò pure quel che aveva visto. - Visto? - Si, madonna; sospettando che alcuno dei guatteri gli giocasse quel tiro, si appostò nell'andito, dietro il tinello, col suo gran coltellaccio alla cintola, e attese la mezzanotte, ora in cui solevasi udire il rumore. Quando tutt'ad un tratto - non si udiva ronzare nemmeno una mosca - si vede comparir dinanzi un gran fantasma bianco, il quale gli arriva addosso senza dire né ahi nè ohi, e gli passa rasente senza fare altro rumore di quel che possa fare un topo che va a caccia del formaggio vecchio. Il povero cuoco non volle saperne altro, e fu a un pelo di buscarne una bella e buona malattia. - Ah! - disse la baronessa ridendo. - E cosa fece in seguito? - Non fece nulla, fece acqua in bocca, andò a confessarsi, a comunicarsi, ed ogni sera, prima di mettersi in letto, non mancava di recitare le sue orazioni, e di raccomandarsi ben bene a tutte le anime del purgatorio che sogliono gironzare la notte, in busca di requiem e di suffragi. - Giacché sono degli spiriti i quali rubano in tinello come dei gatti affamati o dei guatteri ladri, se fossi stata messer Maso, invece d'infilar paternostri, mi sarei raccomandata alla mia miglior lama, onde cercare di scoprire chi fosse il gaglioffo che si permetteva di scambiar le parti coi fantasmi. - Oh madonna, la stessa cosa disse il Rosso il quale è un pezzo di giovanotto che il diavolo istesso, che è il diavolo, non gli farebbe paura; e si mise a rider forte, e gli disse bastargli l'animo di prendere lo spirito, il fantasma, il diavolo stesso per le corna, e fargli vomitare tutto il ben di Dio di cui dicevasi si desse una buona satolla in cucina; mai non l'avesse fatto! La notte seguente s'apposta anche lui nel corridoio, come avea fatto il cuoco, colla sua brava partigiana in mano, ed aspetta un'ora, due, tre. Infine comincia a credere che Maso si sia burlato di lui, o che il vino gli abbia fatto dire una burletta, e comincia ad addormentarsi, così seduto sulla panca e colle spalle al muro. Quand'ecco tutt'a un tratto, tra veglia e sonno, si vede dinanzi una figura bianca, la quale toccava il tetto col capo, e stava ritta dinanzi a lui, senza muoversi, senza che avesse fatto il minimo rumore nel venire, senza che si sapesse da dove fosse venuta; un po' di barlume veniva dalla lampada posta nella sala delle guardie, dal vano dell'arco al disopra della parete, e il Rosso giura d'aver visto i due occhi che il fantasma fissava su di lui, lucenti come quelli di un gatto soriano. Il Rosso, o non fosse ancora ben sveglio, o provasse un po' di paura a quella sùbita apparizione, senza dire nè una nè due, mise mano alla sua partigiana e menò tal colpo da spaccare in due un toro, fosse stato di bronzo; ma la spada gli si ruppe in mano, così come fosse stata di vetro, o avesse urtato contro il muro; si vide un fuoco d'artifizio di faville, a guisa dei razzi che si sparano per la festa della Madonna dell'Ognina, e il fantasma scomparve, nè più nè meno di come fa un soffio di vento, lasciando il Rosso atterrito, col suo troncone di spada in mano, e talmente pallido da far paura a chi lo vide per il primo, e d'allora in poi, invece di chiamarlo il Rosso, gli dicono il Bianco -. La baronessa rideva ancora in aria d'incredulità; ma le sue ciglia si corrugavano di tanto in tanto, e pur tenendo gli occhi fissi nello specchio, non avea badato né al come Grazia la stesse pettinando, né al come le avesse increspato i cannoncini della sua gorgierina ricamata. O che la convinzione della cameriera fosse talmente sincera da esser comunicativa, o che il sogno della notte avesse fatto una potente impressione su di lei, pensava più che non volesse alla notte che doveva passare un'altra volta in quella medesima alcova. - E cosa si dice nel castello di coteste apparizioni? - domandò dopo un silenzio di qualche durata. - Madonna... - Parla! - Madonna... si dicono delle sciocchezze... - Raccontamele. - Messere il barone andrebbe su tutte le furie se lo sapesse. - Tanto meglio! raccontamele. - Madonna... io sono una povera fanciulla... Sono un'ignorante... Avrò parlato senza sapere quel che mi dicessi... Messere il barone mi butterebbe dalla finestra più facilmente ch'io non butti via questo pettine che non serve più. Per carità, madonna, non vogliate espormi alla collera di messere! - Preferiresti esporti alla mia? - esclamò la baronessa aggrottando le ciglia. - Ahimè!... Madonna! - Orsù, spicciati; voglio saper tutto quel che si dice, ti ripeto, e bada che se la collera del barone è pericolosa, la mia non ischerza. - Si dice che sia l'anima della povera donna Violante, la prima moglie del barone, - rispose Grazia messa alle strette, e tutta tremante. - Come è morta donna Violante? - S'è buttata in mare. - Lei? - Proprio lei, dal ballatoio mezzo rovinato che gira dinanzi alle finestre del corridoio grande, sugli scogli che stanno laggiù; in fondo al precipizio fu trovato il suo velo bianco... Era la notte del secondo giovedì dopo Pasqua. - E perché s'è uccisa? - Chi lo sa? Messere dormiva tranquillamente accanto a lei, fu svegliato da un gran grido, non se la trovò più al fianco, e prima che fosse ben sveglio vide una figura bianca la quale fuggiva. Si udì un gran baccano pel castello, tutti furono in piedi in men che non si dica un'avemaria, si trovarono gli usci e le finestre del gran corridoio spalancati, e il barone che correva sul ballatoio come un gatto inferocito; se non era il capocaccia, il quale l'afferrò a tempo, il barone sarebbe caduto dal parapetto rovinato, nel punto dove comincia la scala per la torretta di guardia, di cui non rimangono altro che le testate degli scalini. Il fantasma era scomparso giusto in quel luogo -. La baronessa s'era fatta pensierosa. - È strano! - mormorò. - Della povera signora non rimase né si vide altro che quel velo; nella cappella del castello e nella chiesa del villaggio furono dette delle messe per tre giorni, in suffragio della morta, e una gran folla assisté ginocchioni ai funerali, ché tutti le volevano un ben dell'anima per le gran limosine che faceva quand'era in vita; però, sebbene messere avesse dato ordine che le esequie fossero quali si convenivano a così ricca e potente signora, e la bara, colle armi della famiglia ricamate sulle quattro punte della coltre, stesse tre dì e tre notti nella cappella, con più di quaranta ceri accesi continuamente, e lo stendardo grande ai piedi dell'altare, e drappelloni e scudi intorno che mai non si vide pompa più grande, il barone partì immediatamente, né si vide mai più al castello prima d'ora. - Meno male! - mormorò donna Isabella. - Don Garzia non mi ha detto nulla di tutto ciò, ma è bene ch'io lo sappia. - Alcuni pescatori poi ch'erano andati sul mare assai prima degli altri, raccontano d'aver visto l'anima della baronessa, tutta vestita di bianco, come una santa che ella era, sulla porta della guardiola lassù, e passeggiare tranquillamente su e giù per la scala rovinata, ove un gabbiano avrebbe paura ad appollaiarsi, quasi stesse camminando su di un bel tappeto turco, e nella miglior sala del castello. - Ah! - esclamò la baronessa; e non disse altro, si alzò e andò a mettersi alla finestra. Il giorno era tiepido e bello, e il sole festante che entrava dall'altra finestra sembrava rallegrasse la tetra camera; ma donna Isabella non se ne avvedeva, sembrava meditabonda, e voltandosi a un tratto verso la Grazia: - Mostrami dov'è caduta donna Violante - le disse. - Colà in quel punto dove il muro è rotto e cominciava la scala per la guardiola della sentinella, quando vi si metteva una sentinella. - E perché non ci si mette più adesso? - domandò la baronessa con un singolare interesse. - Bisognerebbe aver le ali per arrampicarsi lassù; adesso che la scala è rovinata il più ardito manovale non metterebbe i piedi su quel che rimane degli scalini. - Ah, è vero!... - E rimase contemplando lungamente la torricciuola, la quale isolata com'era sembrava attaccarsi, paurosa dell'abisso che spalancavasi al di sotto, alla cortina massiccia, e gli avanzi della scalinata, cadenti, smantellati, senza parapetto, sospesi in aria a quattrocento piedi dal precipizio sembravano un addentellato per qualche costruzione fantastica. - Infatti, - mormorò come parlando fra di sé, - sarebbe impossibile; c'è da averne il capogiro soltanto a guardare -. Si tirò indietro bruscamente, e chiuse la finestra. Grazia, vedendo la sua beffarda padrona così accigliata, e accorgendosi che la sua storia avea fatto tale inattesa impressione su di lei, sentiva una tale paura come se avesse dovuto passare la notte nella camera di Brigida. - Ahimè! madonna, io ho detto tutto per obbedirvi e senza pensare che ci va della mia vita se lo risapesse il barone. Abbiate pietà di me, madonna! - Non temere, - rispose donna Isabella con un singolare sorriso; - coteste cose, vere o false, non si raccontano al mio signore e marito. Ma dimmi anche quel che si dice del motivo che abbia spinto donna Violante ad uccidersi; poiché un motivo qualunque ci sarà stato; qualcosa si dirà, a torto o a ragione, di'. - Giuro per le cinque piaghe di Nostro Signore e per la santa giornata di venerdì che è oggi, che non si dice nulla, o almeno che non so nulla. Da principio, quando si è incominciato a sentire dei gemiti nelle notti di temporale, ed anche tutte le notti dal sabato alla domenica, e tutte le volte che fa la luna, o che qualche disgrazia deve avvenire nel castello o nei dintorni, si credeva che la baronessa fosse morta in peccato mortale, e perciò la sua anima chiedesse aiuto dall'altro mondo, mentre i demoni l'attanagliavano; ma poi Beppe, il pescatore, raccontò la visione che gli apparve sull'alto della guardiola, e alcuni giorni dopo quel bravo vecchio di suo zio Gaspare la ebbe confermata, e si ebbe la certezza che l'anima benedetta della baronessa era in luogo di salvazione, e si pensò invece a quella di Corrado il paggio, poveretto! - Come era morto il paggio? s'era ucciso anche lui? - Non era morto, era scomparso. - Quando? - Due giorni prima della morte di donna Violante. - E chi l'aveva fatto sparire? - Chi!... - balbettò la ragazza facendosi pallida. - Ma chi può far sparire un'anima del Signore e portarsela a casa sua, come un lupo ruba una pecora? - Messer demonio. - Ah! era dunque un gran peccatore cotesto messer Corrado! - No, madonna, era il giovane più bello e gentile che sia stato al castello -. La baronessa si mise a ridere. - Eh! mia povera Grazia, quelli sono i peccatori che messer demonio suol rapire a cotesta maniera!... - E poi, rifacendosi pensosa, volse un lungo e profondo sguardo su quel letto dove il gemito pauroso l'avea fatta sussultare la notte. - Quando si odono questi gemiti dell'altro mondo? - domandò. - In quelle notti in cui il fantasma non si fa vedere. - È strano! E dove? - Qui, madonna, in quest'alcova e nell'andito che c'è accanto, nel corridoio che passa vicino a questa camera, e nello spogliatolo che è dietro l'alcova. - Insomma qui vicino? - Per tutta risposta Grazia si fece il segno della croce. La baronessa strinse le labbra tutt'a un tratto. - Va bene, - le disse bruscamente. - Ora vattene. Non temere. Non dirò nulla di quel che mi hai detto -.
III.
Donna Isabella passò la giornata ad esaminare minutamente tutte le stanze, anditi, e corridoi vicini alla sua camera, e don Garzia le chiese inutilmente il motivo della sua preoccupazione. La notte dormì poco e agitata, ma non udì nulla; soltanto il vento che s'era levato verso l'alba faceva sbattere una delle finestre che davano sul ballatoio. L'indomani la baronessa era ancora in letto, quando da dietro il cortinaggio udì il seguente dialogo fra suo marito e il Rosso che l'aiutava a calzare i grossi stivaloni: - Dimmi un po', mariuolo, cos'è stato tutto questo baccano che hanno fatto le mie finestre stanotte? - Il Rosso si grattò il capo e rispose: - È stato che un'ora prima dell'alba si è messo a soffiare lo scirocco. - Sarà benissimo, ma se le finestre fossero state ben chiuse, lo scirocco non avrebbe potuto farle ballare come una ragazza che abbia il male di San Vito. Ora bada bene al tuo dovere, marrano! ché nel castello intendo tutto vada come l'orologio che è sul campanile della chiesa, adesso che son qua io.
- Messere, voi siete il padrone, - rispose il Rosso esitando, - ma quella finestra lì bisogna lasciarla aperta. - Dimmi il perché. - Perché quando si chiude la finestra si sente... - Eh? - Si sente, messere! - Malannaggia l'anima tua! - urlò il barone dando di piglio ad uno stivale per buttarglielo in faccia. - Messere, voi potete ammazzarmi, se volete, ma ho detto la verità. - Chi te l'ha soffiata cotesta verità, briccone maledetto? - Ho visto e udito come vedo ed odo voi, che siete in collera per mia disgrazia e senza mia colpa. - Tu? - Io stesso. - Tu mi rubi il vino della mia cantina, scampaforche! - Io non avevo bevuto né acqua né vino, messere. - Tu mi diventi poltrone, dunque! un gatto che fa all'amore ti fa paura. Diventi vecchio, Rosso mio, arnese da ferravecchi, e ti butterò fuori del castello con un calcio più sotto delle reni. - Messere, io sono buono ancora a qualche cosa, quando mi metterete in faccia a una dozzina di diavoli in carne e ossa, che possano raggiungersi con un buon colpo di partigiana, o che possano ammazzare me come un cane; ma contro un nemico il quale non ha né carne né ossa, e vi rompe il ferro nelle mani come voi fareste di un fil di paglia, per l'anima che darei al primo cane che la volesse! non so cosa potreste fare voi stesso, sebbene siate tenuto il più indiavolato barone di Sicilia -. Il barone questa volta si grattò il capo, e si accigliò, ma senza collera, o almeno senza averla col Rosso. - Orbè, - gli disse, - chiudimi bene tutte le finestre stanotte, e vattene a dormire senza pensare ad altro -. Donna Isabella si levò pallida e silenziosa più del solito. - Avreste paura? - domandò don Garzia. - Io non ho paura di nulla! - rispose secco secco la baronessa. Ma la notte non poté chiudere occhio, e mentre suo marito russava come un contrabasso ella si voltava e rivoltava pel letto, e ad un tratto scuotendolo bruscamente pel braccio, e rizzandosi a sedere cogli occhi sbarrati e pallida in viso: - Ascoltate! - gli disse. Don Garzia spalancò gli occhi anche lui, e vedendola così, si rizzò a sedere sul letto e mise mano alla spada. - No! - diss'ella, - la vostra spada non vi servirà a nulla. - Cosa avete udito? - Ascoltate! Entrambi rimasero immobili, zitti, intenti; alfine don Garzia buttò la spada con dispetto in mezzo alla camera e si ricoricò sacramentando. - Mi diventate matta anche voi! - borbottò. - Quella canaglia del Rosso vi ha fatto girare il capo! gli taglierò le orecchie a quel mariuolo. - Zitto! - esclamò la donna nuovamente, e questa volta con tal voce, con tali occhi, che il barone non osò replicare motto. - Udiste? - Nulla! per l'anima mia! - Ad un tratto si rizzò a sedere una seconda volta, se non pallido e turbato come la sua donna, almeno curioso ed attento, e cominciò a vestirsi; mentre infilava gli stivali trasalì vivamente. - Udite! - ripeté donna Isabella facendosi la croce. Egli attaccò una grossa bestemmia invece della croce; saltò sulla spada che avea gettato in mezzo alla camera, e così com'era, mezzo svestito, colla spada nuda in pugno, al buio, si slanciò nell'andito che era dietro all'alcova. Ritornò poco dopo. - Nulla! - disse, - le finestre son chiuse, ho percorso il corridoio, l'andito, lo spogliatoio; siamo matti voi ed io; lasciatemi dormire in pace adesso, giacché se domani il Rosso venisse a sapere quel che ho fatto stanotte, e sino a qual segno sia stato imbecille, dovrei vergognarmi anche di lui -. Né si udì più nulla; la baronessa rimase sveglia, e don Garzia, sebbene avesse attaccato di nuovo due o tre russate sonore, non poté dormire di seguito come al solito; all'alba si alzò con tal cera che il Rosso, spicciatosi alla svelta dei soliti servigi, stava per battersela. - Chiamami Bruno - gli disse il barone, e ricominciò a passeggiar per la camera, mentre la baronessa stava pettinandosi. Donna Isabella, preoccupata, lo seguiva colla coda dell'occhio, e lo vide andare per l'andito, l'udì camminare nello spogliatoio; poi lo vide ritornare scuotendo il capo, e mormorando fra di sé: - No! è impossibile!... - Bruno e il Rosso comparvero. - Vecchio mio, - gli disse il barone, - ti senti di buscarti un bel ducato d'oro, e passare una notte nel corridoio qui accanto, senza tremare come la rocca di una donnicciuola cui si parli di spiriti? - Messere, io mi sento di far tutto quel che comandate - rispose Bruno, ma non senza alquanto esitare. Il barone che conosceva da un pezzo il suo Bruno per un bravaccio indurito a tutte le prove, fu sorpreso da quell'esitazione, e dallo scorgere che il Bruno, contro ogni aspettativa, s'era fatto serio. - Per l'inferno! - gridò battendo un gran pugno sulla tavola, - mi diventate tutti un branco di poltroni qui! - Messere, per provarvi come poltroni non lo siamo tutti, farò quel che mi ordinerete. - E anch'io. - rispose il Rosso, vergognoso di non esser messo alla prova invece del capocaccia. - Così, non avrete più a dubitare delle parole nostre. - Orbene! giacché tutti avete visto, giacché tutti avete udito, giacché tutti avete toccato con mano, fatemi buona guardia stanotte, appostatevi sul cammino che suol tenere cotesto gaglioffo che ha messo la tremarella addosso a tutta la mia gente. Da qual parte si suol vedere questo fantasma? - Nel corridoio qui accanto, di solito... Ma nessuno ha più visto nulla dacché quest'ala del castello non è stata più abitata... - Tu, Bruno, ti porrai a guardia dietro l'uscio che mette nella sala grande, e il Rosso dietro la finestra, in capo al corridoio. Allorché cotesto spirito malnato sarà dentro, e voi avrete accanto le vostre brave daghe, e non vi tremerà né la mano né il cuore, il ribaldo non potrà scappare altro che dalla mia camera... e allora, pel mio Dio o pel suo Diavolo! l'avrà da fare con me. Andate, e buona guardia!
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