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LE STORIE DEL CASTELLO DI TREZZA 6 часть
- Conosci la Mena? - domandò ad un tratto bruscamente. - La mugnaia del Capo dei Molini? - Sì, la mugnaia del Capo dei Molini! - ripeté con un singolare sorriso. - La conosco, madonna. - E anch'io! - esclamò con voce sorda. - Me l'ha fatta conoscere mio marito! - Per l'altera castellana Corrado non era altro che un domestico, un giovanetto che portava il suo stemma ricamato sul giustacuore di velluto, e che era leggiadro, e avea la chioma bionda e inanellata per far onore alla casa. Ella dunque parlava come fra sé, colla sua eco, perché il suo cuore era troppo pieno, perché l'amarezza non s'era sfogata in lagrime, e gli fece una singolare domanda, con singolare accento e cogli occhi fissi al suolo: - Perché non sei l'amante della Mena anche tu? - Io, madonna? - Sì, tutti vanno pazzi per cotesta mugnaia! - Io sono un povero paggio, madonna!... Ella gli fissò in viso quello sguardo accigliato, e a poco a poco le sopracciglia si spianarono. - Povero o no, tu sei un bel paggio. Non lo sai? - I loro occhi si incontrarono un istante e si evitarono nello stesso tempo. Se la vanità del giovinetto si fosse risvegliata a quelle parole, tutto sarebbe finito fra di loro e l'orgoglio della patrizia si sarebbe inalberato così all'audacia del paggio, che il cuore della donna si sarebbe chiuso per sempre. Ma il giovinetto sospirò, e rispose chinando gli occhi: - Ahimè! madonna! - Quel sospiro aveva un'immensa attrattiva. Mille nuovi sentimenti confusi e violenti andavano gonfiandosi nell'animo della baronessa, come le nubi su di un mare tempestoso. Ella pure, bianca, superba, ella che discendeva da principi reali e da re castigliani, non poté fare a meno di paragonare quel giovinetto ingenuo, leggiadro, che avea cuore di cavaliere sotto una livrea di domestico, a quell'uomo rozzo, brutto, villano, coronato di barone, cui s'era data, e il quale la posponeva ad una bellezza da trivio, che portava zoccoli ai piedi e sacchi di farina sul dorso. Lagrime ardenti le luccicarono nell'orbita, asciugate subito da qualcosa di più ardente ancora, divorate in segreto; tutto quel movimento interno sembrava aver voce e parola, sembrava gridare da tutte le sue membra e da tutti i suoi pori, e il paggio osava fissare per la prima volta su quella sovrana bellezza, delirante in segreto e che faceva delirare, i suoi begli occhi azzurri, scintillanti di luce insolita. - Corrado! - esclamò ella all'improvviso, con voce sorda e interrotta, come perdesse la testa; - tu che la conosci... tu che sei uomo... dimmi se cotesta mugnaia... è bella... s'è più bella di me... Oh dimmelo! non aver paura... Il giovanetto guardava affascinato quella donna corrucciata, fremente, gelosa, rossa di onta e di dispetto, bella da far dannare un angelo; impallidì e non rispose: poi colla voce tremante, colle mani giunte, con un accento che fece scuotere e trasalire la sua signora, esclamò: - Oh... abbiate pietà di me!... madonna!... Ella gli lanciò un'occhiata fosca, senza sguardo, e si allontanò rapidamente, fuggendo; andò ad appoggiarsi al davanzale, a bere avidamente la fresca brezza della notte. Quattro ore suonavano in quel momento; non si vedeva un sol lume, né si udiva una voce. Che cosa avveniva in quell'anima combattuta? Nessuno avrebbe saputo dirlo, lei meno di ogni altra, ché tali pensieri sono vertiginosi, tempestosi anche, come è complesso il sentimento da cui emanano. E ad un tratto volgendosi bruscamente verso di lui: - Senti, - gli disse. - Hai torto! Paggio o no, povero o no, sei bello e giovane da far perdere la testa, e hai torto a non essere l'amante della Mena; il tuo padrone, che è vecchio e brutto, l'ama... l'amore è la giovinezza, la beltà, il piacere; non ci credevo... ma mio marito me l'ha insegnato, - e questo marito non è né giovane, né bello, né gentile. - Io mi son data a lui - ero bella, ti giuro, ero bella allora, delicata, tutta sorriso, col cuore ansioso e trepidante arcanamente sotto la ruvida mano che m'accarezzava. Nel convento avevo sognato tante volte che quella prima carezza mi sarebbe venuta da un'altra mano bianca e delicata che mi avea salutato, e che le mie vergini labbra avrebbero rabbrividito la prima volta sotto quelle altre che m'aveano sorriso, ombreggiate da baffetti d'oro, attraverso la grata. Invece furono le labbra irsute del barone d'Arvelo... - Colui era bello come te, biondo come te, giovane come te; io gli rapii la mia beltà, la mia giovinezza, il mio primo bacio che gli avevo promesso col primo sguardo, il mio cuore, che era suo, per darli a quest'uomo cui m'avevano ordinato di darli, e glieli diedi lealmente. Ora senti, io sono povera come te, non possedevo che il mio bel nome e gli ho dato anche quello, e ho combattuto i miei sogni, le mie ripugnanze, i palpiti stessi del mio cuore. Adesso quest'uomo cui ho sacrificato tutto ciò, che mi ha rapito tutto ciò, questo ladro, questo sleal cavaliere, questo marito infame, ha mescolato il mio primo bacio di vergine al bacio di una cortigiana... - - Tu non sai, non puoi sapere qual effetto possano fare tali infamie sull'animo di una patrizia... Ma giuro, per santa Rosalia! che mi vendicherò in tal modo, che farò tale ingiuria a quest'uomo, che lo coprirò di tale vergogna, quale non basterà a lavare tutto il sangue delle sue vene e delle mie... Io son giovane ancora, sarò ancora bella quando amerò... Ti giuro!... Vuoi? di'! vuoi? - Egli tremava tutto. - Ella gli afferrò il capo con gesto risoluto, con occhi ardenti e foschi, e gli stampò sulla bocca un bacio di fuoco.
IX.
Donna Violante non chiuse occhio in tutta la notte. Stava col gomito sul guanciale, fissando uno sguardo intraducibile, immobile, instancabile, su quel marito che dormiva tranquillo accanto a lei, di cui l'alito avvinazzato le sfiorava il viso, e il quale l'avrebbe stritolata sotto il suo pugno di ferro, se avesse potuto immaginare quali fantasmi passassero per gli occhi sbarrati di lei. E all'indomani, colle guance accese di febbre, e il sorriso convulso, gli disse: - Non vi pare che sarebbe tempo di cercare un altro paggio, don Garzia? - Perché? - Corrado non è più un ragazzo; e voi lasciate troppo spesso sola vostra moglie, perché egli possa starle sempre vicino senza dar da ciarlare ai vostri nemici -. Il barone aggrottò le ciglia, e rispose: - Amici e nemici mi conoscono abbastanza perché né la cosa né le ciarle siano possibili -. Sugli occhi della donna lampeggiò un sorriso da demone. - E poi, - aggiunse don Garzia, - vi stimo abbastanza per temere che voi, nobile e fiera, possiate scendere sino ad un paggio -. E buttandole galantemente le braccia al collo accostò le sue labbra a quelle di lei. Ella, bianca come una statua, gli rese il bacio con insolita energia. Nondimeno, malgrado l'alterigia baronale, e la fiducia nella sua possanza, don Garzia era tal vecchio peccatore da non dormir più tranquillo i suoi sonni una volta che gli era stata messa nell'orecchio una pulce di quella fatta, e, andato a trovar Corrado: - Orsù, bel giovane, - gli disse, - eccoti questo borsellino pel viaggio, e queste due righe di benservito, e vatti a cercar fortuna altrove -. Il giovane rimase sbalordito, e non potendo aspettarsi da che parte gli venisse il congedo, temette che qualcosa del terribile segreto fosse trapelata; e tremante, non per sé, ma per colei di cui avea sognato tutta la notte gli occhi lucenti, e l'ebbrezze convulse: - Almeno, mio signore, - balbettò, - piacciavi dirmi, in grazia, perché mi scacciate! - Perché sei già in età da guadagnarti il pane dove c'è da menar le mani, invece di stare a grattar la chitarra, ed è tempo di pensare a vestir l'arnese, piuttosto che farsettino di velluto. - Orbè, messere, lasciatemi al vostro servizio, in mercé, se in nulla vi dispiacqui, e in quell'ufficio che meglio vi tornerà -. Il barone si grattò il naso, come soleva fare tutte le volte che gli veniva voglia di assestare un ceffone. - Via! - gli disse con tal piglio da non dover tornar due volte sulle cose dette; - levamiti dai piedi, mascalzone; ché dei tuoi servigi non so che farmene, e bada che se la sera di domani ti trova ancora nel castello non ne uscirai dalla porta -. Il povero paggio aveva perduto la testa; malgrado la gran paura che mettevagli addosso il suo signore tentò tutti i mezzi per cercar di vedere quella donna che gli avea irradiato di luce la vita in un attimo, e che amava più della vita. Ma la baronessa lo evitava, come avesse voluto fuggire se stessa, o le sue memorie. Tutti i progetti e i timori più assurdi si affollarono nella testa delirante del giovane innamorato, e credendo la vita di donna Violante minacciata dal barone, decise di far di tutto per salvarla. Finalmente, mentre sollevava una tenda sotto la quale ella passava, fiera, calma e impenetrabile, le sussurrò sottovoce: - Se il mio sangue può giovarvi a qualcosa, prendetevelo, madonna! - Ella non si volse, non rispose, e passò oltre. Ei rimase come fulminato.
X.
La sera che non dovea più trovar Corrado nel castello si avvicinava rapidamente, ed egli non si rammentava nemmeno della terribile minaccia di quel signore che giammai non minacciava invano. Era pazzo di amore; avrebbe pagato colla testa un quarto d'ora di colloquio colla sua signora. Il barone prima di andare a dormire soleva fare tutte le sere la visita del castello. Corrado contava su quel momento per avere un'ultima spiegazione, o un ultimo addio dalla baronessa. Allorché tutto fu buio, s'insinuò non visto nel ballatoio, e venne a riuscire dietro la finestra di donna Violante. Don Garzia era seduto colle spalle alla finestra, e stava cenando. La moglie eragli di faccia, col mento sulla mano e gli occhi fissi, impietrati. Ad un tratto, fosse presentimento, fosse fluido misterioso, fosse qualche lieve rumore fatto dal giovane coll'appoggiare il viso ai vetri, ella trasalì, alzò il capo vivamente, e i suoi sguardi s'incontrarono con quelli del paggio a guisa di due correnti elettriche. - Cos'avete? - domandò il barone. - Nulla - diss'ella, bianca e impassibile come una statua. Il barone si voltò verso la finestra: - Che rumore e cotesto? - Donna Violante chiamò la cameriera; e le ordinò di chiudere bene; era fredda e rigida come una statua di marmo. - Sarà il vento, - soggiunse, - o la finestra non è ben chiusa -. Corrado ebbe appena il tempo di rannicchiarsi rasente al muro. Il barone di tanto in tanto volgeva alla sfuggita sulla moglie uno sguardo singolare, e, cosa più singolare, era sobrio! - Non bevete un sorso? - domandò versandole del vino. Ella non osò rifiutare, alzò lentamente il bicchiere, e si udirono i suoi denti urtare due o tre volte contro il vetro. Poi rimase pensierosa, ma con certa ansietà febbrile, gettando sguardi irrequieti qua e là. - Bisogna che vi cerchi un altro paggio, ora che Corrado è partito - disse il barone figgendole gli occhi in viso. Donna Violante non rispose, ma levò gli occhi anche lei, e si guardarono. Il barone bevve un altro bicchier di moscato, e si alzò per andare a far la ronda della sera. Come fu sola la donna, si levò anch'essa, quasi spinta da una molla, e si diede a passeggiar per la camera, agitata e convulsa. Ogni volta che passava dinanzi alla finestra vi gettava un'occhiata scintillante. Ad un tratto vi andò risolutamente, e l'aperse. Essi si trovarono faccia a faccia, e si guardarono in silenzio. - Ma che fai qui? - domandò donna Violante con accento febbrile! - Son venuto a morire - rispose il paggio con calma terribile. - Ah! - esclamò ella con un sorriso amaro. - Lo sai che t'ho fatto scacciar io? - Voi! - Io! - Perché m'avete fatto scacciare? - Perché non ho potuto far scacciare me stessa, e perché non ho avuto il coraggio di uccidermi dopo di essermi vendicata. - Che vi ho fatto? - esclamò egli colle lagrime nella voce. - Che m'hai fatto?... - rispose la donna fissandolo con occhi stralunati. - Che m'hai fatto?... Ebbene, cosa vuoi ancora? cosa sei venuto a fare? - Son venuto a dirvi che vi amo! - diss'egli senza entusiamo e senza amarezza. - Tu! - esclamò la baronessa celandosi il viso fra le mani. - Perdonatemelo, Madonna! - aggiunse il paggio sorridendo tristamente - cotesto amore che vi offende lo sconterò in un modo terribile. - No! - diss'ella con voce delirante. - Non voglio che tu muoia, non voglio più amarti, e non voglio rivederti mai più!... no! no! vattene! - Egli scosse il capo rassegnato. - Andarmene? È tardi, il ponte levatoio è tirato, e il barone mi ha detto che questa sera non avrebbe voluto trovarmi più qui. Bisognava che io arrischiassi qualche cosa per vedervi un'ultima volta, così bella come vi ho sempre dinanzi agli occhi, e che io paghi con qualcosa di prezioso il potervi dire la terribile parola che vi ho detto. - Ebbene! - rispose donna Violante, pallida come lui, tremante come lui - anche io sconterò il mio fallo... È giusto! - In questo momento si udirono i passi del barone che ritornava accompagnato da qualcuno. - Sia! - esclamò convulsivamente la baronessa. - Ti amo, son tua, sia! moriamo! - E gli cinse le braccia al collo, e gli attaccò alle labbra le labbra febbrili. Si udì la voce di don Garzia che diceva al Bruno: - Tu va sul ballatoio e sta a guardia da quella parte -. Corrado si strappò da quell'amplesso di morte, con uno sforzo più grande di quel che ci sarebbe voluto per precipitarsi dalla finestra di cui gli veniva chiuso lo scampo, e stringendole la mano risolutamente: - No! voi no! Ricordatevi di me, Violante, e non temete per voi. Il povero paggio saprà morire come un gentiluomo -. E mentre si udivano già i passi del barone dietro l'uscio, e Bruno che percorreva il ballatoio, si slanciò nell'andito ch'era dietro l'alcova, e in fondo al quale spalancavasi il trabocchetto. Don Garzia entrò con passo rapido, non guardò nemmen la moglie, la quale sembrava un cadavere, gittò un'occhiata alla finestra chiusa, ed entrò nell'andito senza dire una parola. Non si udì più nulla. Poco dopo riapparve d'Arvelo, calmo e impenetrabile come al solito. - Tutto è tranquillo, - disse. - Andiamo a dormire, Madonna -.
XI.
La notte s'era fatta tempestosa, il vento sembrava assumere voci e gemiti umani, e le onde flagellavano la rocca con un rumore come di un tonfo che soffocasse un gemito d'agonia. Il barone dormiva. Ella lo vedeva dormire, immobile, sfinita, moribonda d'angoscia, sentiva la tempesta dentro di sé, e non osava muoversi per timor di destarlo. Avea gli occhi foschi, le labbra semiaperte, il cuore le si rompeva nel petto, e sembravale che il sangue le si travolgesse nelle vene. Provava bagliori, sfinimenti, impeti inesplicabili, vertigini che la soffocavano, tentazioni furibonde, grida che le salivano alla gola, fascini che l'agghiacciavano, terrori che la spingevano alla follia. Sembravale di momento in momento che la vòlta dell'alcova si abbassasse a soffocarla, o che l'onda salisse e traboccasse dalla finestra, o che le imposte fossero scosse con impeto disperato da una mano che si afferrasse a qualcosa, o che il muggito del mare soverchiasse un urlo delirante d'agonia: il gemito del vento le penetrava sin nelle ossa, con parole arcane ch'ella intendeva, che le dicevano arcane cose, e le facevano dirizzare i capelli sul capo - e teneva sempre gli occhi intenti e affascinati nelle orbite incavate ed oscure di quel marito dormente, il quale sembrava la guardasse attraverso la palpebre chiuse, e leggesse chiaramente tutti i terrori che sconvolgevano la sua ragione. - Di tanto in tanto si asciugava il freddo sudore che le bagnava la fronte, e ravviava macchinalmente i capelli che sentiva formicolarsi sul capo, come fossero divenuti cose animate anche essi. Quando l'uragano taceva, provava un terrore più arcano, e con un movimento macchinale nascondeva il capo sotto le coltri, per non udire qualcosa di terribile. Ad un tratto quel suono che parevale avere udito in mezzo agli urli della tempesta, quel gemito d'agonia, visione o realtà, s'udì più chiaro e distinto. Allora mise uno strido che non aveva più nulla d'umano, e si slanciò fuori del letto. Il barone, svegliato di soprassalto, la scorse come un bianco fantasma fuggire dalla finestra, si precipitò ad inseguirla, saltò sul ballatoio e non vide più nulla. La tempesta ruggiva come prima. Sul precipizio fu trovato il fazzoletto che avea asciugato quel sudore d'angoscia sovrumana.
XII.
La storia avea divertito tutti, anche quelli che la conoscevano diggià, e che la commentavano ai nuovi venuti colla leggenda degli spiriti che avevano abitato il castello. La sera era venuta, l'ora e il racconto aiutavano le vagabonde fantasticherie dell'eccellente digestione. Luciano e la signora Matilde avevano impallidito qualche volta durante quel racconto che conoscevano: - Badate, - le sussurrò egli sottovoce. - vostro marito vi osserva! - Ella si fece rossa, poi impallidì, guardò il mare che imbruniva, e s'avviò la prima. Scesero le scale crollanti, e giunti al basso era quasi buio. La grossa tavola che faceva da ponte levatoio sull'abisso spaventoso il quale spalancasi sotto la rocca, a quell'ora era un passaggio pericoloso. I più prudenti si fermarono prima di metterci piede, e proposero di mandare al villaggio per cercar dei lumi. - Avete paura? - esclamò il signor Giordano con un sorrisetto sardonico. E si mise arditamente sullo strettissimo ponte. Sua moglie lo seguì tranquilla e un po' pallida, Luciano le tenne dietro e le strinse la mano. In quel momento, a 150 metri sul precipizio, accanto a quel marito di cui s'erano svegliati i sospetti, quella stretta di mano, di furto, fra le tenebre avea qualcosa di sovrumano. L'altro li vide forse nell'ombra, lo indovinò, avea calcolato su di ciò... Si volse bruscamente e la chiamò per nome. Si udì un grido, un grido supremo, ella vacillò, afferrandosi a quella mano che l'avea perduta per aiutarla, e cadde con lui nell'abisso. A Trezza si dice che nelle notti di temporale si odano di nuovo dei gemiti, e si vedano dei fantasmi fra le rovine del castello.
VITA DEI CAMPI CAVALLERIA RUSTICANA
Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll'uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quella della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata. Ma con tutto ciò Lola di massaro Angelo non si era fatta vedere né alla messa, né sul ballatoio, ché si era fatta sposa con uno di Licodia, il quale faceva il carrettiere e aveva quattro muli di Sortino in stalla. Dapprima Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella della pancia, voleva trargli, a quel di Licodia! Però non ne fece nulla, e si sfogò coll'andare a cantare tutte le canzoni di sdegno che sapeva sotto la finestra della bella. - Che non ha nulla da fare Turiddu della gnà Nunzia, - dicevano i vicini, - che passa la notte a cantare come una passera solitaria? Finalmente s'imbattè in Lola che tornava dal viaggio alla Madonna del Pericolo, e al vederlo, non si fece né bianca né rossa quasi non fosse stato fatto suo. - Beato chi vi vede! - le disse. - Oh, compare Turiddu, me l'avevano detto che siete tornato al primo del mese. - A me mi hanno detto delle altre cose ancora! - rispose lui. - Che è vero che vi maritate con compare Alfio, il carrettiere? - Se c'è la volontà di Dio! - rispose Lola tirandosi sul mento le due cocche del fazzoletto. - La volontà di Dio la fate col tira e molla come vi torna conto! E la volontà di Dio fu che dovevo tornare da tanto lontano per trovare ste belle notizie, gnà Lola! - Il poveraccio tentava di fare ancora il bravo, ma la voce gli si era fatta roca; ed egli andava dietro alla ragazza dondolandosi colla nappa del berretto che gli ballava di qua e di là sulle spalle. A lei, in coscienza, rincresceva di vederlo così col viso lungo, però non aveva cuore di lusingarlo con belle parole. - Sentite, compare Turiddu, - gli disse alfine, - lasciatemi raggiungere le mie compagne. Che direbbero in paese se mi vedessero con voi?... - È giusto, - rispose Turiddu; - ora che sposate compare Alfio, che ci ha quattro muli in stalla, non bisogna farla chiacchierare la gente. Mia madre invece, poveretta, la dovette vendere la nostra mula baia, e quel pezzetto di vigna sullo stradone, nel tempo ch'ero soldato. Passò quel tempo che Berta filava, e voi non ci pensate più al tempo in cui ci parlavamo dalla finestra sul cortile, e mi regalaste quel fazzoletto, prima d'andarmene, che Dio sa quante lacrime ci ho pianto dentro nell'andar via lontano tanto che si perdeva persino il nome del nostro paese. Ora addio, gnà Lola, facemu cuntu ca chioppi e scampau, e la nostra amicizia finiu -. La gnà Lola si maritò col carrettiere; e la domenica si metteva sul ballatoio, colle mani sul ventre per far vedere tutti i grossi anelli d'oro che le aveva regalati suo marito. Turiddu seguitava a passare e ripassare per la stradicciuola, colla pipa in bocca e le mani in tasca, in aria d'indifferenza, e occhieggiando le ragazze; ma dentro ci si rodeva che il marito di Lola avesse tutto quell'oro, e che ella fingesse di non accorgersi di lui quando passava. - Voglio fargliela proprio sotto gli occhi a quella cagnaccia! - borbottava. Di faccia a compare Alfio ci stava massaro Cola, il vignaiuolo, il quale era ricco come un maiale, dicevano, e aveva una figliuola in casa. Turiddu tanto disse e tanto fece che entrò camparo da massaro Cola, e cominciò a bazzicare per la casa e a dire le paroline dolci alla ragazza. - Perché non andate a dirle alla gnà Lola ste belle cose? - rispondeva Santa. - La gnà Lola è una signorona! La gnà Lola ha sposato un re di corona, ora! - Io non me li merito i re di corona. - Voi ne valete cento delle Lole, e conosco uno che non guarderebbe la gnà Lola, né il suo santo, quando ci siete voi, ché la gnà Lola, non è degna di portarvi le scarpe, non è degna. - La volpe quando all'uva non potè arrivare... - Disse: come sei bella, racinedda mia! - Ohè! quelle mani, compare Turiddu. - Avete paura che vi mangi? - Paura non ho né di voi, né del vostro Dio. - Eh! vostra madre era di Licodia, lo sappiamo! Avete il sangue rissoso! Uh! che vi mangerei cogli occhi. - Mangiatemi pure cogli occhi, che briciole non ne faremo; ma intanto tiratemi su quel fascio. - Per voi tirerei su tutta la casa, tirerei! Ella, per non farsi rossa, gli tirò un ceppo che aveva sottomano, e non lo colse per miracolo. - Spicciamoci, che le chiacchiere non ne affastellano sarmenti. - Se fossi ricco, vorrei cercarmi una moglie come voi, gnà Santa. - Io non sposerò un re di corona come la gnà Lola, ma la mia dote ce l'ho anch'io, quando il Signore mi manderà qualcheduno. - Lo sappiamo che siete ricca, lo sappiamo! - Se lo sapete allora spicciatevi, ché il babbo sta per venire, e non vorrei farmi trovare nel cortile -. Il babbo cominciava a torcere il muso, ma la ragazza fingeva di non accorgersi, poiché la nappa del berretto del bersagliere gli aveva fatto il solletico dentro il cuore, e le ballava sempre dinanzi gli occhi. Come il babbo mise Turiddu fuori dell'uscio, la figliuola gli aprì la finestra, e stava a chiacchierare con lui ogni sera, che tutto il vicinato non parlava d'altro. - Per te impazzisco, - diceva Turiddu, - e perdo il sonno e l'appetito. - Chiacchiere. - Vorrei essere il figlio di Vittorio Emanuele per sposarti! - Chiacchiere. - Per la Madonna che ti mangerei come il pane! - Chiacchiere! - Ah! sull'onor mio! - Ah! mamma mia! - Lola che ascoltava ogni sera, nascosta dietro il vaso di basilisco, e si faceva pallida e rossa, un giorno chiamò Turiddu. - E così, compare Turiddu, gli amici vecchi non si salutano più? - Ma! - sospirò il giovinotto, - beato chi può salutarvi! - Se avete intenzione di salutarmi, lo sapete dove sto di casa! - rispose Lola. Turiddu tornò a salutarla così spesso che Santa se ne avvide, e gli battè la finestra sul muso. I vicini se lo mostravano con un sorriso, o con un moto del capo, quando passava il bersagliere. Il marito di Lola era in giro per le fiere con le sue mule. - Domenica voglio andare a confessarmi, ché stanotte ho sognato dell'uva nera! - disse Lola. - Lascia stare! lascia stare! - supplicava Turiddu. - No, ora che s'avvicina la Pasqua, mio marito lo vorrebbe sapere il perché non sono andata a confessarmi. - Ah! - mormorava Santa di massaro Cola, aspettando ginocchioni il suo turno dinanzi al confessionario dove Lola stava facendo il bucato dei suoi peccati. - Sull'anima mia non voglio mandarti a Roma per la penitenza! - Compare Alfio tornò colle sue mule, carico di soldoni, e portò in regalo alla moglie una bella veste nuova per le feste. - Avete ragione di portarle dei regali, - gli disse la vicina Santa, - perché mentre voi siete via vostra moglie vi adorna la casa! - Compare Alfio era di quei carrettieri che portano il berretto sull'orecchio, e a sentir parlare in tal modo di sua moglie cambiò di colore come se l'avessero accoltellato. - Santo diavolone! - esclamò, - se non avete visto bene, non vi lascierò gli occhi per piangere! a voi e a tutto il vostro parentado! - Non son usa a piangere! - rispose Santa, - non ho pianto nemmeno quando ho visto con questi occhi Turiddu della gnà Nunzia entrare di notte in casa di vostra moglie. - Va bene, - rispose compare Alfio, - grazie tante -. Turiddu, adesso che era tornato il gatto, non bazzicava più di giorno per la stradicciuola, e smaltiva l'uggia all'osteria, cogli amici. La vigilia di Pasqua avevano sul desco un piatto di salsiccia. Come entrò compare Alfio, soltanto dal modo in cui gli piantò gli occhi addosso, Turiddu comprese che era venuto per quell'affare e posò la forchetta sul piatto. - Avete comandi da darmi, compare Alfio? - gli disse. - Nessuna preghiera, compare Turiddu, era un pezzo che non vi vedevo, e voleva parlarvi di quella cosa che sapete voi -. Turiddu da prima gli aveva presentato un bicchiere, ma compare Alfio lo scansò colla mano. Allora Turiddu si alzò e gli disse: - Son qui, compar Alfio -. Il carrettiere gli buttò le braccia al collo. - Se domattina volete venire nei fichidindia della Canziria potremo parlare di quell'affare, compare. - Aspettatemi sullo stradone allo spuntar del sole, e ci andremo insieme -. Con queste parole si scambiarono il bacio della sfida. Turiddu strinse fra i denti l'orecchio del carrettiere, e così gli fece promessa solenne di non mancare. Gli amici avevano lasciato la salsiccia zitti zitti, e accompagnarono Turiddu sino a casa. La gnà Nunzia, poveretta, l'aspettava sin tardi ogni sera.
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