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STORIA DELL'ASINO DI S. GIUSEPPE 3 часть



Brasi da quell'orecchio non ci sentiva. Ma gli piaceva la Lucia, coi suoi occhi di carbone, e la grazia di Dio che ci aveva addosso. A lei pure le piaceva Brasi, piccolo, ricciuto, col muso fino e malizioso di can volpino. Mentre lavavano i piatti o mettevano legna sotto il calderotto, egli inventava ogni monelleria per farla ridere, come se le facesse il solletico. Le spruzzava l'acqua sulla nuca e le ficcava delle foglie d'indivia fra le trecce. Lucia strillava sottovoce, perché non udissero i padroni; si rincantucciava nell'angolo del forno, rossa in viso al pari della bragia, e gli gettava in faccia gli strofinacci ed i sarmenti, mentre l'acqua gli sgocciolava nella schiena come una delizia.

- E colla carne si fa le polpette - fate la vostra, ché la mia l'ho fatta.

- Io no! - rispondeva Lucia. - A me non mi piacciono questi scherzi -.

Brasi fingeva di restare mortificato. Raccattava la foglia d'indivia che gli aveva buttato in faccia, e se la ficcava in petto, dentro la camicia, brontolando:

- Questa è roba mia. Io non vi tocco. È roba mia e ha da star qui. Se volete mettervi della roba mia allo stesso posto, a voi! - E faceva atto di strapparsi una manciata di capelli per offrirglieli, cacciando fuori tanto di lingua.

Ella lo picchiava con certi pugni sodi da contadina che lo facevano aggobbire, e gli davano dei cattivi sogni la notte, diceva lui. Lo pigliava pei capelli, come un cagnuolo, e sentiva un certo piacere a ficcare le dita in quella lana morbida e ricciuta.

- Sfogatevi! sfogatevi! Io non sono permaloso come voi, e mi lascierei pestare come la salsiccia dalle vostre mani -.

Una volta don Venerando li sorprese in quei giuochetti e fece una casa del diavolo. Tresche non ne voleva in casa sua; se no li scacciava fuori a pedate tutt'e due. Piuttosto quando trovava la ragazza sola in cucina, le pigliava il ganascino, e voleva accarezzarla con due dita.

- No! no! - replicava Lucia. - A me questi scherzi non mi piacciono. Se no piglio la mia roba e me ne vado.

- Di lui ti piacciono, di lui! E di me che sono il padrone, no? Cosa vuol dire questa storia? Non sai che posso regalarti degli anelli e dei pendenti di oro, e farti la dote, se ne ho voglia? -

Davvero poteva fargliela, confermava Brasi, che il padrone aveva danari quanti ne voleva, e sua moglie portava il manto di seta come una signora, adesso che era magra e vecchia peggio di una mummia; per questo suo marito scendeva in cucina a dir le barzellette colle ragazze. Poi ci veniva per guardarsi i suoi interessi, quanta legna ardeva e quanta carne mettevano al fuoco.

Era ricco, sì, ma sapeva quel che ci vuole a far la roba, e litigava tutto il giorno con sua moglie, la quale aveva dei fumi in testa, ora che faceva la signora, e si lagnava del fumo dei sarmenti e del cattivo odore delle cipolle.

- La dote voglio farmela io colle mie mani - rimbeccava Lucia. - La figlia di mia madre vuol restare una ragazza onorata, se un cristiano la cerca in moglie.

- E tu restaci! - rispondeva il padrone. - Vedrai che bella dote! e quanti verranno a cercartela la tua onestà! -

Se i maccheroni erano troppo cotti, se Lucia portava in tavola due ova al tegame che sentivano l'arsiccio, don Venerando la strapazzava per bene, al cospetto della moglie, tutto un altro uomo, col ventre avanti e la voce alta. - Che credevano di far l'intruglio pel maiale? Con due persone di servizio che se lo mangiavano vivo! Un'altra volta le buttava la grazia di Dio sulla faccia! - La signora, benedetta, non voleva quegli schiamazzi, per via dei vicini, e rimandava la serva strillando in falsetto:

- Vattene in cucina; levati di qua, sciamannona! paneperso! -

Lucia andava a piangere nel cantuccio del forno, ma Brasi la consolava, con quella sua faccia da mariuolo:

- Cosa ve ne importa? Lasciateli cantare! Se si desse retta ai padroni, poveri noi! Le ova sentivano l'arsiccio? Peggio per loro! Non potevo spaccar legna nel cortile, e rivoltar le ova nel tempo istesso. Mi fanno far da cuoco e da garzone, e vogliono essere serviti come il re! Che non si rammentavano più quando lui mangiava pane e cipolla sotto un olivo, e lei gli coglieva le spighe nel campo? -.

Allora serva e cuoco si confidavano la loro “mala sorte” che nascevano di “gente rispettata” e i loro parenti erano stati più ricchi del padrone, già da tempo. Il padre di Brasi era carradore, nientemeno! e la colpa era del figliuolo che non aveva voluto attendere al mestiere, e si era incapricciato a vagabondare per le fiere, dietro il carretto del merciaiuolo: con lui aveva imparato a cucinare e a governar le bestie.

Lucia ricominciava la litania dei suoi guai: - il babbo, il bestiame, la Rossa, le malannate: - tutt'e due gli stessi, lei e Brasi, in quella cucina; parevano fatti l'uno per l'altra.

- La storia di vostro fratello colla Rossa? - rispodeva Brasi. - Grazie tante! - Però non voleva darle quell'affronto lì sul mostaccio. Non gliene importava nulla che ella fosse una contadina. Non ricusava per superbia. Erano poveri tutti e due e sarebbe stato meglio buttarsi nella cisterna con un sasso al collo.

Lucia mandò giù tutto quell'amaro senza dir motto, e se voleva piangere andava a nascondersi nel sottoscala, o nel cantuccio del forno, quando non c'era Brasi.

Ormai a quel cristiano gli voleva bene, collo stare insieme davanti al fuoco tutto il giorno. I rabbuffi, le sgridate del padrone, li pigliava per sé, e lasciava a lui il miglior piatto, il bicchier di vino più colmo, andava in corte a spaccar la legna per lui, e aveva imparato a rivoltare le ova e a scodellare i maccheroni in punto. Brasi, come la vedeva fare la croce, colla scodella sulle ginocchia, prima d'accingersi a mangiare, le diceva:

- Che non avete visto mai grazia di Dio? -

Egli si lamentava sempre e di ogni cosa: che era una galera, e che aveva soltanto tre ore alla sera da andare a spasso o all'osteria; e se Lucia qualche volta arrivava a dirgli, col capo basso, e facendosi rossa:

- Perché ci andate all'osteria? Lasciatela stare l'osteria, che non fa per voi.

- Si vede che siete una contadina! - rispondeva lui. - Voi altri credete che all'osteria ci sia il diavolo. Io son nato da maestri di bottega, mia cara. Non son mica un villano!

- Lo dico per vostro bene. Vi spendete i soldi, e poi c'è sempre il caso d'attaccar lite con qualcheduno -.

Brasi si sentì molle a quelle parole e a quegli occhi che evitavano di guardarlo. E si godeva il solluchero:

- O a voi cosa ve ne importa?

- Nulla me ne importa. Lo dico per voi.

- O voi non vi seccate a star qui in casa tutto il giorno?

- No, ringrazio Iddio del come sto, e vorrei che i miei parenti fossero come me, che non mi manca nulla -.

Ella stava spillando il vino, accoccolata colla mezzina fra le gambe, e Brasi era sceso con lei in cantina a farle lume. Come la cantina era grande e scura al pari di una chiesa, e non si udiva una mosca in quel sotterraneo, soli tutti e due, Brasi e Lucia, egli le mise un braccio al collo e la baciò su quella bocca rossa al pari del corallo.

La poveretta l'aspettava sgomenta, mentre stava china tenendo gli occhi sulla brocca, e tacevano entrambi, e udiva il fiato grosso di lui, e il gorgogliare del vino. Ma pure mise un grido soffocato, cacciandosi indietro tutta tremante, così che un po' di spuma rossa si versò per terra.

- O che è stato? - esclamò Brasi. - Come se v'avessi dato uno schiaffo! Dunque non è vero che mi volete bene?

Ella non osava guardarlo in faccia, e si struggeva dalla voglia. Badava al vino versato, imbarazzata, balbettando:

- O povera me! o povera me! che ho fatto? Il vino del padrone!...

- Eh! lasciate correre; ché ne ha tanto il padrone. Date retta a me piuttosto. Che non mi volete bene? Ditelo, sì o no! -

Ella stavolta si lascia prendere la mano, senza rispondere, e quando Brasi le chiese che gli restituisse il bacio, ella glielo diede, rossa di una cosa che non era vergogna soltanto.

- Che non ne avete avuti mai? - domandava Brasi ridendo. - O bella! siete tutta tremante come se avessi detto di ammazzarvi.

- Sì, vi voglio bene anch'io - rispose lei; - e mi struggevo di dirvelo. Se tremo ancora non ci badate. È stata per la paura del vino.

- O guarda! anche voi? E da quando! Perché non me lo avete detto?

- Da quando s'è parlato che eravamo fatti l'uno per l'altro.

- Ah! - disse Brasi, grattandosi il capo. - Andiamo di sopra, che può venire il padrone -.

Lucia era tutta contenta dopo quel bacio, e le sembrava che Brasi le avesse suggellato sulla bocca la promessa di sposarla. Ma lui non ne parlava neppure, e se la ragazza gli toccava quel tasto, rispondeva:

- Che premura hai? Poi è inutile mettersi il giogo sul collo, quando possiamo stare insieme come se fossimo maritati.

- No, non è lo stesso. Ora voi state per conto vostro ed io per conto mio; ma quando ci sposeremo, saremo una cosa sola.

- Una bella cosa saremo! Poi non siamo fatti della stessa pasta. Pazienza, se tu avessi un po' di dote!

- Ah! che cuore nero avete voi! No! Voi non mi avete voluto bene mai!

- Sì, che ve n'ho voluto. E son qui tutto per voi; ma senza parlar di quella cosa.

- No! Non ne mangio di quel pane! lasciatemi stare, e non mi guardate più! -

Ora lo sapeva com'erano fatti gli uomini. Tutti bugiardi e traditori. Non voleva sentirne più parlare. Voleva buttarsi nella cisterna piuttosto a capo in giù; voleva farsi Figlia di Maria; voleva prendere il suo buon nome e gettarlo dalla finestra! A che le serviva, senza dote? Voleva rompersi il collo con quel vecchiaccio del padrone, e procurarsi la dote colla sua vergogna. Ormai!... Ormai!... Don Venerando l'era sempre attorno, ora colle buone, ora colle cattive, per guardarsi i suoi interessi, se mettevano troppa legna al fuoco, quanto olio consumavano per la frittura, mandava via Brasi a comprargli un soldo di tabacco, e cercava di pigliare Lucia pel ganascino, correndole dietro per la cucina, in punta di piedi perché sua moglie non udisse, rimproverando la ragazza che gli mancava di rispetto, col farlo correre a quel modo! - No! no! - ella pareva una gatta inferocita. - Piuttosto pigliava la sua roba, e se ne andava via! - E che mangi? E dove lo trovi un marito senza dote? Guarda questi orecchini! Poi ti regalerei 20 onze per la tua dote. Brasi per 20 onze si fa cavare tutti e due gli occhi! -

Ah! quel cuore nero di Brasi! La lasciava nelle manacce del padrone, che la brancicavano tremanti! La lasciava col pensiero della mamma che poco poteva campare, della casa saccheggiata e piena di guai, di Pino il Tomo che l'aveva piantata per andare a mangiare il pane della vedova! La lasciava colla tentazione degli orecchini e delle 20 onze nella testa!

E un giorno entrò in cucina colla faccia tutta stravolta, e i pendenti d'oro che gli sbattevano sulle guance. Brasi sgranava gli occhi, e le diceva:

- Come siete bella così, comare Lucia!

- Ah! vi piaccio così? Va bene, va bene! -

Brasi ora che vedeva gli orecchini e tutto il resto, si sbracciava a mostrarsi servizievole e premuroso quasi ella fosse diventata un'altra padrona. Le lasciava il piatto più colmo, e il posto migliore accanto al fuoco. Con lei si sfogava a cuore aperto, ché erano poverelli tutti e due, e faceva bene all'anima confidare i guai a una persona che si vuol bene. Se appena appena fosse arrivato a possedere 20 onze, egli metteva su una piccola bettola e prendeva moglie. Lui in cucina, e lei al banco. Così non si stava più al comando altrui. Il padrone se voleva far loro del bene, lo poteva fare senza scomodarsi, giacché 20 onze per lui erano come una presa di tabacco. E Brasi non sarebbe stato schizzinoso, no! Una mano lava l'altra a questo mondo. E non era sua colpa se cercava di guadagnarsi il pane come poteva. Povertà non è peccato.

Ma Lucia si faceva rossa, o pallida, o le si gonfiavano gli occhi di pianto, e si nascondeva il volto nel grembiale. Dopo qualche tempo non si lasciò più vedere nemmeno fuori di casa, né a messa, né a confessare, né a Pasqua, né a Natale.

In cucina si cacciava nell'angolo più scuro, col viso basso, infagottata nella veste nuova che le aveva regalato il padrone, larga di cintura.

Brasi la consolava con buone parole. Le metteva un braccio al collo, le palpava la stoffa fine del vestito, e gliela lodava. Quegli orecchini d'oro parevano fatti per lei. Uno che è ben vestito e ha denari in tasca non ha motivo di vergognarsi e di tenere gli occhi bassi; massime poi quando gli occhi son belli come quelli di comare Lucia. La poveretta si faceva animo a fissarglieli in viso, ancora sbigottita, e balbettava:

- Davvero, mastro Brasi? Mi volete ancora bene?

- Sì, sì, ve ne vorrei! - rispondeva Brasi colla mano sulla coscienza. - Ma che colpa ci ho se non son ricco per sposarvi? Se aveste 20 onze di dote vi sposerei ad occhi chiusi -.

Don Venerando adesso aveva preso a ben volere anche lui, e gli regalava i vestiti smessi e gli stivali rotti. Allorché scendeva in cantina gli dava un bel gotto di vino, dicendogli:

- Tè! bevi alla mia salute -.

E il pancione gli ballava dal tanto ridere, al vedere le smorfie che faceva Brasi, e al sentirlo barbugliare alla Lucia, pallido come un morto:

- Il padrone è un galantuomo, comare Lucia! lasciate ciarlare i vicini, tutta gente invidiosa, che muore di fame, e vorrebbero essere al vostro posto -.

 

Santo, il fratello, udì la cosa in piazza qualche mese dopo. E corse dalla moglie trafelato. Poveri erano sempre stati, ma onorati. La Rossa allibì anch'essa, e corse dalla cognata tutta sottosopra, che non poteva spiccicar parola. Ma quando tornò a casa da suo marito, era tutt'altra, serena e colle rose in volto.

- Se tu vedessi! Un cassone alto così di roba bianca! anelli, pendenti e collane d'oro fine. Poi vi son anche 20 onze di danaro per la dote. Una vera provvidenza di Dio!

- Non monta! - Tornava a dire di tanto in tanto il fratello, il quale non sapeva capacitarsene. - Almeno avesse aspettato che chiudeva gli occhi nostra madre!... -

Questo poi accadde l'anno della neve, che crollarono buon numero di tetti, e nel territorio ci fu una gran mortalità di bestiame, Dio liberi!

Alla Lamia e per la montagna di Santa Margherita, come vedevano scendere quella sera smorta, carica di nuvoloni di malaugurio, che i buoi si voltavano indietro sospettosi, e muggivano, la gente si affacciava dinanzi ai casolari, a guardar lontano verso il mare, colla mano sugli occhi, senza dir nulla. La campana del Monastero Vecchio, in cima al paese, suonava per scongiurare la malanotte, e sul poggio del Castello c'era un gran brulichìo di comari, nere sull'orizzonte pallido, a vedere in cielo la coda del drago, una striscia color di pece, che puzzava di zolfo, dicevano, e voleva essere una brutta notte. Le donne gli facevano gli scongiuri colle dita, al drago, gli mostravano l'abitino della Madonna sul petto nudo, e gli sputavano in faccia, tirando giù la croce sull'ombelico, e pregavano Dio e le anime del purgatorio, e Santa Lucia, che era la sua vigilia, di proteggere i campi, e le bestie, e i loro uomini anch'essi, chi ce li avea fuori del paese. Carmenio al principio dell'inverno era andato colla mandra a Santa Margherita. La mamma quella sera non istava bene, e si affannava pel lettuccio, cogli occhi spalancati, e non voleva star più quieta come prima, e voleva questo, e voleva quell'altro, e voleva alzarsi, e voleva che la voltassero dall'altra parte. Carmenio un po' era corso di qua e di là, a darle retta, e cercare di fare qualche cosa. Poi si era piantato dinanzi al letto, sbigottito, colle mani nei capelli.

Il casolare era dall'altra parte del torrente, in fondo alla valle, fra due grossi pietroni che gli si arrampicavano sul tetto. Di faccia, la costa, ritta in piedi, cominciava a scomparire nel buio che saliva dal vallone, brulla e nera di sassi, fra i quali si perdeva la striscia biancastra del viottolo. Al calar del sole erano venuti i vicini della mandra dei fichidindia, a vedere se occorreva nulla per l'inferma, che non si moveva più nel suo lettuccio, colla faccia in aria e la fuliggine al naso.

- Cattivo segno! - aveva detto curatolo Decu. - Se non avessi lassù le pecore, con questo tempo che si prepara, non ti lascierei solo stanotte. Chiamami, se mai! -

Carmenio rispondeva di sì, col capo appoggiato allo stipite; ma vedendolo allontanare passo passo, che si perdeva nella notte, aveva una gran voglia di corrergli dietro, di mettersi a gridare, di strapparsi i capelli - non sapeva che cosa.

- Se mai - gli gridò curatolo Decu da lontano - corri fino alla mandra dei fichidindia, lassù, che c'è gente -.

La mandra si vedeva tuttora sulla roccia, verso il cielo, per quel po' di crepuscolo che si raccoglieva in cima ai monti, e straforava le macchie dei fichidindia. Lontan lontano, alla Lamia e verso la pianura, si udiva l'uggiolare dei cani auuuh!... auuuh!... auuuh!... che arrivava appena sin là, e metteva freddo nelle ossa. Le pecore allora si spingevano a scorazzare in frotta pel chiuso, prese da un terrore pazzo, quasi sentissero il lupo nelle vicinanze, e a quello squillare brusco di campanacci sembrava che le tenebre si accendessero di tanti occhi infuocati, tutto in giro. Poi le pecore si arrestavano immobili, strette fra di loro, col muso a terra, e il cane finiva d'abbaiare in un uggiolato lungo e lamentevole, seduto sulla coda.

- Se sapevo! - pensava Carmenio - era meglio dire a curatolo Decu di non lasciarmi solo -.

Di fuori, nelle tenebre, di tanto in tanto si udivano i campanacci della mandra che trasalivano. Dallo spiraglio si vedeva il quadro dell'uscio nero come la bocca di un forno; null'altro. E la costa dirimpetto, e la valle profonda, e la pianura della Lamia, tutto si sprofondava in quel nero senza fondo, che pareva si vedesse soltanto il rumore del torrente, laggiù, a montare verso il casolare, gonfio e minaccioso.

Se sapeva, anche questa! prima che annottasse correva al paese a chiamare il fratello; e certo a quell'ora sarebbe qui con lui, ed anche Lucia e la cognata.

Allora la mamma cominciò a parlare, ma non si capiva quello che dicesse, e brancolava pel letto colle mani scarne.

- Mamma! mamma! cosa volete? - domandava Carmenio - ditelo a me che son qui con voi! -

Ma la mamma non rispondeva. Dimenava il capo anzi, come volesse dir no! no! non voleva. Il ragazzo le mise la candela sotto il naso, e scoppiò a piangere dalla paura.

- O mamma! mamma mia! - piagnucolava Carmenio -. O che sono solo e non posso darvi aiuto! -

Aprì l'uscio per chiamare quelli della mandra dei fichidindia. Ma nessuno l'udiva.

Dappertutto era un chiarore denso; sulla costa, nel vallone, laggiù al piano - come un silenzio fatto di bambagia. Ad un tratto arrivò soffocato il suono di una campana che veniva da lontano, 'nton! 'nton! 'nton! e pareva quagliasse nella neve.

- Oh, Madonna santissima! - singhiozzava Carmenio -. Che sarà mai quella campana? O della mandra dei fichidindia, aiuto! O santi cristiani, aiuto! Aiuto, santi cristiani! - si mise a gridare.

Infine lassù, in cima al monte dei fichidindia, si udì una voce lontana, come la campana di Francofonte.

- Ooooh... cos'èeee? cos'èeee?...

- Aiuto, santi cristiani! aiuto, qui da curatolo Decuuu!...

- Ooooh... rincorrile le pecoreee!... rincorrileeee!...

- No! no! non son le pecore... non sono! -

In quella passò una civetta, e si mise a stridere sul casolare.

- Ecco! - mormorò Carmenio facendosi la croce. - Ora la civetta ha sentito l'odore dei morti! Ora la mamma sta per morire! -

A star solo nel casolare colla mamma, la quale non parlava più, gli veniva voglia di piangere. - Mamma, che avete? Mamma, rispondetemi? Mamma avete freddo? - Ella non fiatava, colla faccia scura. Accese il fuoco, fra i due sassi del focolare, e si mise a vedere come ardevano le frasche, che facevano una fiammata, e poi soffiavano come se ci dicessero su delle parole.

Quando erano nelle mandre di Resecone, quello di Francofonte, a veglia, aveva narrato certe storie di streghe che montano a cavallo delle scope, e fanno degli scongiuri sulla fiamma del focolare. Carmenio si rammentava tuttora la gente della fattoria, raccolta ad ascoltare con tanto d'occhi, dinanzi al lumicino appeso al pilastro del gran palmento buio, che a nessuno gli bastava l'animo di andarsene a dormire nel suo cantuccio, quella sera.

Giusto ci aveva l'abitino della Madonna sotto la camicia, e la fettuccia di santa Agrippina legata al polso, che s'era fatta nera dal tempo. Nella stessa tasca ci aveva il suo zufolo di canna, che gli rammentava le sere d'estate - Juh! juh! - quando si lasciano entrare le pecore nelle stoppie gialle come l'oro, dappertutto, e i grilli scoppiettano nell'ora di mezzogiorno, e le lodole calano trillando a rannicchiarsi dietro le zolle col tramonto, e si sveglia l'odore della nepitella e del ramerino. - Juh! juh! Bambino Gesù! - A Natale, quando era andato al paese, suonavano così per la novena, davanti all'altarino illuminato e colle frasche d'arancio, e in ogni casa, davanti all'uscio, i ragazzi giocavano alla fossetta, col bel sole di dicembre sulla schiena. Poi s'erano avviati per la messa di mezzanotte, in folla coi vicini, urtandosi e ridendo per le strade buie. Ah! perché adesso ci aveva quella spina in cuore? e la mamma che non diceva più nulla!! ancora per mezzanotte ci voleva un gran pezzo. Fra i sassi delle pareti senza intonaco pareva che ci fossero tanti occhi ad ogni buco, che guardavano dentro, nel focolare, gelati e neri.

Sul suo stramazzo, in un angolo, era buttato un giubbone, lungo disteso, che pareva le maniche si gonfiassero; e il diavolo del San Michele Arcangelo, nella immagine appiccicata a capo del lettuccio, digrignava i denti bianchi, colle mani nei capelli, fra i zig-zag rossi dell'inferno.

L'indomani, pallidi come tanti morti, arrivarono Santo, la Rossa coi bambini dietro, e Lucia che in quell'angustia non pensava a nascondere il suo stato. Attorno al lettuccio della morta si strappavano i capelli, e si davano dei pugni in testa, senza pensare ad altro. Poi come Santo si accorse della sorella con tanto di pancia, ch'era una vergogna, si mise a dire in mezzo al piagnisteo:

- Almeno avesse lasciato chiudere gli occhi a quella vecchierella, almeno!...

E Lucia dal canto suo:

- L'avessi saputo, l'avessi! Non le facevo mancare il medico e lo speziale, ora che ho 20 onze.

- Ella è in paradiso e prega Dio per noi peccatori; - conchiude la Rossa. - Sa che la dote ce l'avete, ed è tranquilla, poveretta. Mastro Brasi ora vi sposerà di certo -.

I GALANTUOMINI

 

Sanno scrivere - qui sta il guaio. La brinata dell'alba scura, e il sollione della messe, se li pigliano come tutti gli altri poveri diavoli, giacché son fatti di carne e d'ossa come il prossimo, per andare a sorvegliare che il prossimo non rubi loro il tempo e il denaro della giornata. Ma se avete a far con essi, vi uncinano nome e cognome, e chi vi ha fatto, col beccuccio di quella penna, e non ve ne districate più dai loro libracci, inchiodati nel debito.

- Tu devi ancora due tumoli di grano dell'anno scorso.

- Signore, la raccolta fu scarsa!

- È colpa mia se non piovve? Dovevo forse abbeverare i seminati col bicchiere?

- Signore, gli ho dato il sangue mio alla vostra terra!

- Per questo ti pago, birbante! Ti pago a sangue d'uomo! Io mi dissanguo in spese di cultura, e poi se viene la malannata, mi piantate la mezzeria, e ve ne andate colla falce sotto l'ascella! -

E dicono pure: - Val più un pezzente di un potente -; che non si può cavargli la pelle pel suo debito. Per ciò chi non ha nulla deve pagar la terra più cara degli altri, - il padrone ci arrischia di più - e se la raccolta viene magra, il mezzadro è certo di non perder nulla, e andarsene via con la falce sotto l'ascella. Ma l'andarsene in tal modo è anche una brutta cosa, dopo un anno di fatiche, e colla prospettiva dell'inverno lungo senza pane.

È che la malannata caccia ad ognuno il diavolo in corpo. Una volta, alla messe, che pareva scomunicata da Dio, il frate della cerca arrivò verso mezzogiorno nel podere di don Piddu, spronando cogli zoccoli nella pancia della bella mula baia, e gridando da lontano: - Viva Gesù e Maria! -

Don Piddu era seduto su di un cestone sfondato, guardando tristamente l'aia magra, in mezzo alle stoppie riarse, sotto quel cielo di fuoco che non lo sentiva nemmeno sul capo nudo, dalla disperazione.

- Oh! la bella mula che avete, fra Giuseppe! La val meglio di quelle quattro rozze magre, che non hanno nulla da trebbiare né da mangiare!

- È la mula della questua - rispose fra Giuseppe. - Sia lodata la carità del prossimo. Vengo per la cerca.

- Beato voi che senza seminare raccogliete, e al tocco di campana scendete in refettorio, e vi mangiate la carità del prossimo! Io ho cinque figli, e devo pensare al pane per tutti loro. Guardate che bella raccolta! L'anno scorso mi avete acchiappato mezza salma di grano perché S. Francesco mi mandasse la buonannata, e in compenso da tre mesi non piovve dal cielo altro che fuoco -.

Fra Giuseppe si asciugava il sudore anche lui col fazzoletto da naso. - Avete caldo, fra Giuseppe? Ora vi faccio dare un rinfresco! -

E glielo fece dare per forza da quattro contadini arrabbiati come lui, che gli arrovesciarono il saio sul capo, e gli buttavano addosso a secchi l'acqua verdastra del guazzatoio.

- Santo diavolone! - gridava don Piddu. - Poiché non giova nemmeno far la limosina a Cristo, voglio farla al diavolo un'altra volta! -

E d'allora non volle più cappuccini per l'aia, e si contentò che per la questua venissero piuttosto quelli di San Francesco di Paola.

Fra Giuseppe se la legò al dito. - Ah! avete voluto veder le mie mutande, don Piddu? Io vi ridurrò senza mutande e senza camicia! -

Era un pezzo di fratacchione con tanto di barba, e la collottola nera e larga come un bue di Modica, perciò nei vicoli e in tutti i cortili era l'oracolo delle comari e dei contadini.

- Con don Piddu non dovete averci che fare. Guardate che è scomunicato da Dio, e la sua terra ha la maledizione addosso! -

Quando venivano i missionari, negli ultimi giorni di carnevale, per gli esercizi spirituali della quaresima, e se c'era un peccatore o una mala femmina, od anche gente allegra, andavano a predicargli dietro l'uscio, in processione e colla disciplina al collo pei peccati altrui, fra Giuseppe additava la casa di don Piddu, che non gliene andava bene più una: le malannate, la mortalità nel bestiame, la moglie inferma, le figliuole da maritare, tutte già belle e pronte. Donna Saridda, la maggiore, aveva quasi trent'anni, e si chiamava ancora donna Saridda perché non crescesse tanto presto. Al festino del sindaco, il martedì grasso, aveva acchiappato finalmente uno sposo, ché Pietro Macca dal tinello li aveva visti stringersi la mano con don Giovannino, mentre andavano annaspando nella contraddanza. Don Piddu s'era levato il pan di bocca per condurre la figliuola al festino colla veste di seta aperta a cuore sul petto. Chissà mai! In quella i missionari predicavano contro le tentazioni davanti il portone del sindaco, per tutti quei peccati che si facevano là dentro, e dal sindaco dovettero chiudere le finestre, se no la gente dalla strada rompeva a sassate tutti i vetri.

Donna Saridda se ne tornò a casa tutta contenta, come se ci avesse in tasca il terno al lotto; e non dormì quella notte, pensando a don Giovannino, senza sapere che fra Giuseppe avesse a dirgli:

- Siete pazzo, vossignoria, ad entrare nella casata di don Piddu, che fra poco ci fanno il pignoramento? -

Don Giovannino non badava alla dote. Ma il disonore del pignoramento poi era un altro par di maniche! La gente si affollava dinanzi al portone di don Piddu, a vedergli portar via gli armadi e i cassettoni, che lasciavano il segno bianco nel muro dove erano stati tanto tempo, e le figliuole, pallide come cera, avevano un gran da fare per nascondere alla mamma, in fondo a un letto, quel che succedeva. Lei, poveretta, fingeva di non accorgersene. Prima era andata col marito a pregare, a scongiurare, dal notaio, dal giudice: - Pagheremo domani - pagheremo doman l'altro -. E tornavano a casa rasente al muro, lei colla faccia nascosta dentro il manto - ed era sangue di baroni! Il dì del pignoramento donna Saridda, colle lagrime agli occhi, era andata a chiudere tutte le finestre, perché quelli che son nati col don vanno soggetti anche alla vergogna. Don Piddu, quando per carità l'avevano preso sorvegliante alle chiuse del Fiumegrande, nel tempo delle messe, che la malaria si mangiava i cristiani, non gli rincresceva della malaria; gli doleva solo che i contadini, allorché questionavano con lui, mettevano da parte il don, e lo trattavano a tu per tu.



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