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LE STORIE DEL CASTELLO DI TREZZA 15 часть
Perciò si sforzava di non farle scorgere nemmeno la pena che tutto quell'armeggìo le arrecava, pel bene che voleva ad Erminia, ben inteso - di Polidori poco le importava - era un uomo e faceva il suo mestiere, oramai!... eppoi era di quelli che sanno consolarsi. Ma Erminia aveva tutto da perdere a quel giuoco, con un marito come il suo, che le voleva bene, ed era proprio un marito ideale. Che talismano possedeva dunque quel Polidori per eclissare un uomo come il marchese Gandolfi nel cuore di una donna bella, intelligente e corteggiata come l'Erminia? Certe cose non si sanno spiegare. Per nulla al mondo avrebbe voluto che anima viva si fosse accorta di quel che succedeva, e avrebbe voluto chiudere gli occhi a tutti gli altri come li chiudeva lei; ma francamente, c'era da perdere la pazienza. - Mia cara, io non mi raccapezzo più, - le diceva Erminia ridendo, tranquilla, come se non si trattasse di lei. - Cos'hai? Alle volte mi sembra che io debba averti fatto qualcosa di grosso a mia insaputa! - Oibò! quella povera Erminia come s'ingannava!... non le aveva fatto altro che la pena di vederla impaniarsi spensieratamente in quei pasticcio; anzi di lasciarvisi impaniare, perché quel Polidori sembrava impastarlo e rimpastarlo a suo grado con un'abilità diabolica. Doveva averne fatte molte di grosse quell'uomo, per aver acquistato quella maestria; era proprio un pessimo soggetto! - Cara Maria! - le disse Erminia un bel giorno, e con un bel bacione. - Mi sembra che quel Polidori ti trotti un po' più del dovere per la testa. Guardati! è un individuo pericoloso, per una bambina come te! - Io? - rispose ella stupefatta. - Io?... - e non sapeva trovare altre parole sotto quegli occhioni acuti di Erminia. - Tanto meglio! tanto meglio! M'hai fatto una gran paura! tanto meglio! - Per una bambina, - pensava Maria, - non mi usa molti riguardi, la mia Erminia! Certe cose cavano gli occhi! - La signora Rinaldi era spietata per i corteggiatori eleganti, per gli innamorati ad ora fissa, nella passeggiata del parco o nelle serate di musica, pei conquistatori in guanti di Svezia. Una volta che Polidori si permise di fare qualche osservazione rispettosa in propria difesa, ella gli lanciò in faccia uno scoppio di risa squillanti. - Oh! oh! - Egli parve impallidire, colui, alfine! Siccome le altre signore gli ronzavano sempre attorno come api a Polidori - la colpa era di quelle signore che lo guastavano - ella soggiunse: - Non vi fate scorgere, ne sarei desolata. - Per chi? - Per voi, per me... e per gli altri - per tutto il mondo -. Questa volta ei non si lasciò sconcertare dal sarcasmo, e rispose con calma: - Non mi preme che di voi -. Ella avrebbe voluto colpirlo in viso con un altro getto di quella ilarità spietata e mordente, ma il riso le morì sulle labbra, dinanzi all'espressione che quelle due parole davano a tutta la fisonomia di lui. - Potete insultarmi, - rispose egli, - ma non avete il diritto di dubitare del sentimento che avete messo nel mio cuore -. Maria chinò il capo, vinta. - Non ho rispettato ciecamente la vostra volontà, quale sia stata? Vi ho chiesto una spiegazione? Non ho prevenuto il vostro desiderio? e non son riescito a far le viste di aver dimenticato quello che nessun uomo al mondo potrebbe dimenticare... da voi?... E se ho sofferto, per questo, c'è alcuno al mondo che mi abbia visto soffrire? - Egli parlava con voce calma, con l'atteggiamento tranquillo che davano a quelle parole pacate un'eloquenza irresistibile. - Voi!... - balbettò Maria. - Io! - ribatte Polidori, - che vi amo ancora, e che non ve lo avrei detto giammai -. Ella che si era fermata per strappare le foglie degli arbusti, fece due o tre passi per allontanarsi da lui, povera bambina! Polidori non ne fece uno solo per seguirla.
La signora Rinaldi era divenuta a un tratto malinconica e fantastica. Stava delle lunghe ore col libro aperto alla medesima pagina, colle dita vaganti sulla tastiera del pianoforte, col ricamo abbandonato sui ginocchi, a contemplare l'acqua, i monti e le stelle. Lo specchio del lago riverberava tutte le sfumature dei suoi pensieri più indefiniti, e provava una squisita voluttà a sentirseli ripercuotere dentro di sé, intenta, assorta. Perciò sfuggiva alle allegre brigate e preferiva errare in barchetta sul lago, sola, quando i monti vi stendevano larghe ombre verdi, o quando i remi luccicavano fra le tenebre, come spade d'acciaio, o quando il tramonto vi spirava tristamente con vaghe strisce amaranti; frapponeva la tenda fra sé e i barcaiuoli, e coricata sui cuscini godeva a sentirsi cullata sull'abisso, ad immergervisi quasi, tuffando la mano nell'acqua, sentendosene guadagnare tutta la persona con un brivido misterioso; le piaceva sprofondare il suo sguardo nel buio interminato, al di là delle stelle, e a fantasticare su quel che doveva rischiarare qualche lumicino lontano che tremolava fra il buio, nella china dei monti. Cercava i viali erbosi, i misteriosi silenzi del boschetto, o lo spettacolo del lago in quelle ore in cui il sole vi splendeva come su di uno specchio, o tutte le finestre dell'albergo stavano ancora chiuse, e la rugiada luccicava sull'erba del prato, e le ombre erano folte sotto gli alberi giganteschi, e lo scricchiolare della sabbia sotto i suoi passi le sussurrava all'orecchio misteriose fantasticherie; spesso andava a leggere o a passeggiare sulla sponda del laghetto, nei viali remoti dei Campi Elisi, quando la luna si posava dolcemente sul lago e le accarezzava le mani bianche, o quando le finestre del salone stampavano nel buio del viale larghi quadrati di luce fredda, e la musica del salone faceva vagare arcane fantasie sotto le grandi ombre silenziose ed addormentate. Al di là di quelle ombre misteriose, dietro quei vetri scintillanti, il movimento della festa ammorzato, velato, acquistava una fusione di colori, di linee e di suoni, che lo rendeva affascinante, qualcosa fra il baccanale e la danza degli spiriti alati; allora respirando la vertigine, rimaneva lì, colla fronte sui vetri, con un formicolìo leggero alla radice dei capelli. Una sera, tutt'a un tratto, la si vide comparire in mezzo al ballo come una visione affascinante, più pallida e più bella che mai, e con qualcosa che nessuno le aveva mai visto sulla bocca e negli occhi. La folla si apriva commossa dinanzi a lei; Erminia andò ad abbracciarla; uno sciame di eleganti giovinotti le fece ressa attorno per strapparle la promessa di un giro di valzer o di una contradanza; ella si fermò un istante con quel medesimo sorriso sulle labbra, e quegli occhi splendenti come le lucciole del viale, cercando intorno, e come scorse Polidori gli buttò il fazzoletto. - Dio salvi la regina! - esclamò Polidori piegando un ginocchio. - Ti rubo il tuo ballerino, sai, - disse Maria tutta festante alla sua Erminia. - Ho una voglia matta di fare un bel giro di valzer anche io -. Polidori era uno di quei ballerini che le signore si disputano coi sorrisi e a colpi di ventaglio sulle dita - quando il sorriso ha fatto troppo effetto. Possedeva la forza e la grazia, lo slancio e la mollezza; nessuno sapeva rapirvi come lui verso le sfere spumanti d'ebbrezza color di rosa con un colpo di garetto, adagiandovi sul braccio destro come su di un cuscino di velluto. Dicevano che egli solo possedesse quell'intelligenza squisita dello Strauss, che vi fa perdere il fiato e la testa, e sapeva mettere nel braccio, nei muscoli, in tutta la persona, la foga, l'abbandono, l'estasi. - Non voglio che balliate più! - Non voglio che balliate con altre - gli disse Maria fermandosi anelante, colle guance rosse, cogli occhi un po' velati - e fu tutto per quella sera. Ah! come era trionfante, e come il cuore le ballava dentro il petto, mentre quel cavaliere invidiato l'accompagnava fra la folla ammiratrice! e mentre si ravvolgeva stretta nella sciarpetta nera in mezzo al viale, dove i rumori della festa si dileguavano, e le fantasticherie sorgevano, vaghe, senza forma, ma assetate ancora! Pareva di essere in preda a un sogno delizioso, quando al valzer successe un notturno di Mendelson, un notturno che le passava anch'esso fra i capelli e sulla fronte, e fra le spalle, come una mano di velluto fresca e odorosa. A un tratto una figura nera si frappose dinanzi alla luce delle finestre che cadeva sul viale; il suo sogno le sorgeva improvviso dinanzi come un'ombra. Ella si alzò di soprassalto, sbigottita, in tumulto, balbettando qualche parola sconnessa che voleva dir no! no! no! e andò a ricovrarsi nel salone, rifugiandosi in mezzo al rumore e alla luce - la luce che le faceva socchiudere gli occhi abbarbagliati, e il rumore che la stordiva gradevolmente, la lasciava intontita e sorridente, un po' rigida e pensosa. Erminia l'accarezzava quasi fosse un ninnolo leggiadro; quelle signore dicevano ad una voce che era proprio carina, così accerchiata dai più eleganti cacciatori di avventure, colle spalle al muro, come una cerbiatta addossata alla roccia: si sarebbe detto che le tremolasse negli occhi la lagrima della sconfitta. Polidori fu degli ultimi ad assalirla, da cacciatore che la sorte aveva destinato pel colpo di grazia; e sembrava mosso a pietà della vittima, giacché parlandole con un viso serissimo della pioggia e del bel tempo, si limitava a farle il suo briciolo di corte, domandandole con grande interesse di cose indifferentissime: se avesse fatto la sua gita in barca, se il giorno dopo sarebbe andata alla sua solita passeggiata mattutina verso i Campi Elisi. - Ella lo guardò negli occhi senza mai rispondere. Ei non insistette altro. Erminia si era messa al piano, e tutti stavano intenti ad ascoltarla; Maria non aveva occhi che per lei, anche quando li fissava vagamente nelle fantasie dell'ignoto, perché era lei che le evocava quelle fantasie e l'affascinava con esse: la sala intera splendida e calda fremeva di armonia. Erano di quei fatali momenti in cui il cuore si dilata con violenza dentro il petto e soverchia la ragione. Maria rabbrividiva dalla testa ai piedi, accasciata nella poltrona, colla fronte nella mano, e Polidori le sussurrava sul capo parole ardenti che le facevano fremere come cosa animata i ricci dei capelli sulla nuca bianca. La poveretta non vedeva più nulla, né la sala splendente, né la folla commossa, né gli occhi lucenti e penetranti di Erminia, e si abbandonò a quel che credeva il suo destino, senza forza, coll'occhio vitreo, come una morente. - Sì! sì! - mormorò con un soffio. Polidori si allontanò pian piano, per lasciarla rimettere, e andò a fumare la sua sigaretta nella sala del bigliardo. La brezza del lago fece vacillare tutta notte le fiammelle dei candelabri posti sul caminetto di lei, che si guardava nello specchio per delle ore intere, senza vedersi, con occhi fissi, arsi dalla febbre. Il signor Polidori passeggiava da un pezzo pel viale deserto in un'ora mattutina che gli ricordava un convegno di caccia; non si accorgeva del paesaggio incantevole per altra cosa che per sprofondarvi delle lunghe occhiate impazienti. Di tratto in tratto si fermava in ascolto, e rizzava il capo proprio come un levriere. Finalmente si udì un passo leggiero e timido di selvaggina elegante. Maria giungeva, e appena scorse Polidori, sebbene sapesse di trovarlo là, si arrestò all'improvviso, sgomenta, immobile come una statua. Il suo fine profilo arabo sembrava tagliare il velo fitto. Polidori, a capo scoperto, si inchinò profondamente, senza osare di toccarle la mano, né di rivolgerle una sola parola. Ella, anelante, turbata, sentiva per istinto quanto fosse imbarazzante il silenzio: - Sono stanca! - mormorò con voce rotta. - L'emozione la soffocava. Così dicendo seguitò ad inoltrarsi pel viale che saliva serpeggiando per la china del monte, ed ei le andava accanto, senza parlare, soggiogati entrambi da una forte commozione. Così giunsero ad una specie di monumento funerario. Maria si fermò ad un tratto appoggiando le spalle alla roccia e col viso fra le mani. Infine scoppiò in lagrime. Allora ei le prese le mani, e vi appoggiò lievemente le labbra, come uno schiavo. Allorché sentì finalmente che il tremito di quelle povere manine andava calmandosi, le disse piano, ma con un'intonazione ineffabile di tenerezza: - Dunque vi faccio paura? - Voi non mi disprezzate ora? - disse Maria. - Non è vero? - Egli giunse le mani, in un'espressione ardente di passione ed esclamò: - Io? Disprezzarvi io? - Maria sollevò il viso disfatto e lo fissò con occhi sbarrati, e colle lagrime ancora sul viso mormorava confusamente parole insensate: - È la prima volta!... ve lo giuro! - Ve lo giuro, signore!... - Oh! - esclamò Polidori con impeto. - Perché mi dite questo? a me che vi amo? che vi amo tanto! - Quelle parole vibravano come cosa viva dentro di lei; un istante ella se le premé forte colle mani dentro il petto, chiudendo gli occhi; ma immediatamente le avvamparono in viso, come avessero compito in un lampo tutta la circolazione del suo sangue, e le avessero arso tutte le vene. - No! no! - ripeteva; - ho fatto male, ho fatto assai male! sono stata una stordita. Credetemi, signore! Non sono colpevole; sono stata una stordita; sono davvero una bimba, lo dicono tutti, lo dicono anche le mie amiche -. La poverina cercava di sorridere, guardando di qua e di là stralunata. - Ho bisogno che non mi disprezziate! - Maria! - esclamò Polidori. Ella trasalì, e si tirò indietro bruscamente, spaventata dall'udire il suo nome. Polidori chino dinanzi a lei, umile, tenero, innamorato, le diceva: - Come siete bella! e come è bella la vita che ha di questi momenti! - Maria si passava le mani sugli occhi e pei capelli, confusa, smarrita, e s'accasciava su di sé stessa, e ripeteva quasi macchinalmente: - Se sapete che affare grosso è stato l'attraversare il viale, quel viale che ho fatto tutti i giorni. Non avrei mai creduto che potesse essere così! Davvero! non credevo! - E sorrideva per farsi coraggio, senza osare di guardar lui, abbandonata contro il sasso che le faceva da spalliera, tirandosi i guanti sulle braccia, ancora leggermente convulse, e seguitava a chiacchierare a modo del fanciullo che canta di notte per le strade onde farsi coraggio. - Sono stata disgraziata! sì, confesso che sono un cervellino strano! Ho delle pazze tendenze per quel mondo che forse non è altro se non un sogno, un sogno di gente inferma, sia pure! alle volte mi pare di soffocare fra tanta ragione in cui viviamo; sento il bisogno d'aria, di andarla a respirare in alto, dove è più pura ed azzurra. Non è mia colpa se non mi persuado di esser matta, se non mi rassegno alla vita com'è, se non capisco gli interessi che preoccupano gli altri. No! non ci ho colpa. Ho fatto il possibile. Sono in ritardo di parecchi secoli. Avrei dovuto venire al mondo al tempo dei cavalieri erranti -. Il suo leggiadro sorriso aveva una melanconica dolcezza e s'abbandonava senz'accorgersene all'incanto che contribuiva a crearsi ella stessa. - Beato voi che potete vivere a modo vostro! - Io vorrei vivere ai vostri piedi. - Tutta la vita? - domandò ella ridendo. - Tutta la vita. - Badate che vi stanchereste, - gli rispose gaiamente. - Voi dovrete stancarvi spesso! - ripeté Maria con uno sguardo che cercava di rendere ardito e sicuro. Polidori la trovava deliziosa nel suo imbarazzo - soltanto quell'imbarazzo si prolungava troppo. Prima di venire a quell'appuntamento, nell'istante supremo di passar l'uscio, Maria aveva provato tutte le pungenti emozioni che danno la curiosità dell'ignoto, l'attrattiva del male, il fascino dello sgomento che le serpeggiava nelle vene con brividi arcani e irresistibili; con una confusione tale di sentimenti e di idee, di impulsi e di terrore, che l'avevano spinta a precipitarsi nell'ignoto suo malgrado, in una specie di sonnambulismo, senza sapere precisamente cosa andasse a fare. Se Polidori le avesse steso le braccia al primo vederla, probabilmente ella si sarebbe spaccata la testa contro la rupe alla quale adesso appoggiavasi mollemente, con abbandono. Ora, incoraggiata dal vedersi ai piedi quell'uomo contrastato e invidiato, sentiva una deliziosa sensazione al contatto di quel muschio vellutato che le accarezzava le spalle; come le parole che egli le diceva tenere e ferventi le accarezzavano dolcemente l'orecchio e se ne sentiva invadere mollemente, come da un delizioso languore. Egli era così gentile, così rispettoso e così buono! non osava toccarle la punta delle dita, e si contentava di sfiorarla dolcemente col soffio ardente di quella passione che lo teneva prostrato dinanzi a lei quasi dinanzi a un idolo. Tutto ciò era senza ombra di male, e carino, carino. A poco a poco Polidori le aveva preso la mano, ed ella senza accorgersene gliela aveva abbandonata. Anche lui era sinceramente e fortemente commosso in quel momento, e cercava gli occhi di lei con occhi assetati ed ebbri. Ella senza vederli ne sentiva la fiamma, non osava levare i suoi, e il riso le moriva sulle labbra; non aveva la forza di ritirare le mani ad ogni nuovo tentativo che faceva, quasi il suono di quelle parole le addormentasse vagamente in un sonno dolcissimo l'anima e la coscienza, la facesse entrare in un'estasi angosciosa; Polidori non poteva saziarsi di ammirarla in quell'atteggiamento, abbandonata su di se stessa, colle braccia inerti, la fronte china e il petto anelante, e infine esclamò con uno slancio di passione, stendendo le braccia convulse: - Come siete bella, Maria, e come vi amo! - Ella si rizzò di botto, seria e rigida, quasi sentisse dirselo per la prima volta. - Voi lo sapete che vi amo tanto! da tanto tempo! - ripeteva lui. Ella non rispondeva; curvando all'indietro tutta la persona, e a testa bassa, in atteggiamento sospettoso, colle sopracciglia aggrottate, agitando macchinalmente le mani, come se cercasse farsene schermo contro qualche cosa, colle labbra pallide e serrate. Ad un tratto, levando gli occhi sul viso sconvolto di lui, incontrando quegli occhi, mise un strido soffocato, e si arretrò sino all'ingresso di quella specie di monumento sepolcrale, bianca di terrore, difendendosi colle braccia stese da quella passione che l'atterriva ora che vedeva cosa fosse, guardandola in faccia per la prima volta, balbettando: - Signore!... signore!... - Egli ripeteva fuori di sé, supplichevole, in un'implorazione affascinante di delirio e d'amore: - Maria! Maria!... - No! - ripeteva costei smarrita, - no!... Polidori si arrestò di botto, e si passò due o tre volte la mano sulla fronte e sugli occhi con un gesto disperato. Indi le disse con voce rauca: - Voi non mi avete mai amato, Maria! - No! no! lasciatemi andare! - ripeteva ella, quando Polidori s'era già allontanato. - Signore!... signore!... Polidori subiva suo malgrado la forte commozione di quell'istante, ed era tutto tremante anch'esso come quella povera ingenua. - Sentite, abbiamo fatto male! - ripeteva ella con voce convulsa. - Abbiamo fatto male... - e si sentiva venir meno. In quel punto, all'improvviso, si udì rumore fra le piante e lo scalpiccìo di chi sopraveniva si arrestò poco lontano, come esitante. - Maria! - esclamò una voce talmente alterata che nessuno di loro due la riconobbe: - Maria! - Polidori, ridivenuto l'uomo di prima da un momento all'altro, prese vivamente Maria per un braccio e la spinse pel viale da dove era venuta la voce, e in un lampo scomparve fra gli andirivieni del sepolcreto. Maria arrivando nel viale, si trovò faccia a faccia con Erminia, pallida anch'essa, che cercava a fatica di dissimulare il suo turbamento, e voleva spiegarle qualche cosa, dandosi un'aria indifferente. Maria le piantò in viso certi occhi che avevano una strana espressione. - Che vuoi? - le chiese soltanto, con voce sorda dopo alcuni istanti di un silenzio che sembrò eterno. - Oh! Maria!... - rispose Erminia, buttandole le braccia al collo. E fu tutto. Ritornarono indietro l'una al fianco dell'altra, senza aprire bocca e a capo chino. Come furono in vista dell'albergo, sentirono tutte e due a un tempo di dover assumere un contegno. - Lucia mi aveva detto ch'eri scesa in giardino, - disse Erminia, - e ciò mi ha fatto venire il desiderio di fare una passeggiata mattutina anch'io, col pretesto di venire in traccia di te. - Grazie - rispose Maria semplicemente. - Però comincia ad esser troppo tardi per passeggiare. Il sole è già caldo -.
Maria infatti aveva preso un colpo di sole che l'aveva abbacinata e stordita. Era rimasta come scossa e turbata in tutto il suo essere. Alle volte macchinalmente si stringeva le mani, come per riconoscersi, o per cercarvi qualche cosa, un'impronta del passato, e chiudeva gli occhi. Quando incontrava degli sguardi curiosi, e tutti le sembravano curiosi, oppure quelli della sua amica, avvampava in viso. Stava rincantucciata nel suo appartamento il più che poteva, e quindi molti credevano che fosse partita. La sola vista di Erminia le faceva corrugare la fronte, e dava un non so che di fosco a tutta la sua fisionomia. Però era abbastanza donna di mondo per sapere dissimulare sino a un certo punto i suoi sentimenti, quali essi fossero. Erminia, che non ne era illusa, provava un vero rammarico. - Io son sempre la tua Erminia, sai! - le diceva ogni volta che poteva, scuotendole amorevolmente le mani. - Io son sempre la tua Erminia, quella di prima! quella di sempre! - Maria sorrideva a fior di labbra, gentile e distratta. - Hai torto, vedi! - ripeteva Erminia. - Ti inganni!... t'inganni, se credi che io non ti voglia più il bene di prima! - Ella aveva infatti delle sollecitudini materne per la sua Maria, delle sollecitudini che sovente indispettivano costei, come se prendessero l'aspetto di una sorveglianza amorevole e discreta. Un giorno Erminia la sorprese mentre stava incominciando una lettera; e le domandò semplicemente se suo marito le avesse scritto; la domanda veniva così male a proposito, che Maria fu quasi per arrossire, come se fosse stata nel punto di dover rispondere una bugia. - No! mio marito non mi guasta tanto. È troppo occupato. - Sì, è troppo occupato! - affermò Erminia senza rilevare l'ironia della risposta, - è seriamente occupato. Affoga negli affari, poveretto! - Che dici mai? se sono la sua passione, l'unica sua passione! - Lo credi? - domandò Erminia, fissandole in faccia quei suoi occhioni acuti. - Ma sì! - rispose Maria con un risolino che le contraeva gli angoli della bocca, e aggiunse ancora, come correttivo: - Non ho alcun motivo di esser gelosa però. Mio marito non giuoca, non va al caffè, non è cacciatore, non ama i cavalli, non legge che il listino della Borsa - nulla, ti dico! - È vero; non ama che te! - Maria inchinò il capo con un sorrisetto contraffatto; ma non aggiunse verbo per un pezzo, e poi, amaramente: - Avete ragione, sono anche un'ingrata! - No, non sei ingrata; sei una donnina viziata, una testolina guasta, che vede falso in molte cose e che non ci vede in certe altre. Il solo torto di tuo marito è di non averti aperto gli occhi sul gran bene che ti vuole. - Fortunatamente che ha incaricato te di dirmelo. - Sì, io che ti voglio bene, anch'io! bene davvero!... Vuoi che partiamo domattina? - Oooh! - Ti rincresce? - No, mi sorprende soltanto la risoluzione improvvisa, così come si fa nelle commedie, per le ragazze che hanno abbozzato un romanzetto... - Scusami; ti ho proposto di venire con me... Ma se vuoi restare... - No, voglio venire anch'io. Solamente bisogna trovare un pretesto plausibile, per non far pensare al romanzo a tutti i curiosi che ci vedranno ordinare così in furia le nostre valige. - Il motivo è bello e trovato, tanto più che è il motivo vero. Io vado ad incontrare mia suocera che arriva domani da Firenze, e tu naturalmente vieni con me, per non rimaner sola a Villa d'Este. - Benissimo! E dacché dobbiamo partire, più presto sarà meglio sarà. Desidero andare col primo treno -. Partirono infatti di buon mattino. A lei scoppiava il cuore passando dinanzi a quelle finestre chiuse, sulle quali l'ombra dei grandi alberi dormiva tuttora, uscendo da quel viale deserto, ove si era aggirata fantasticando tante volte. Il lago, nella pace di quell'ora, aveva un incantesimo singolare, e ogni menomo particolare del paesaggio si animava, sembrava che fosse vissuto con lei, le si stampava nell'intimo del cuore profondamente. Appena fu nel vagone aprì il libro che aveva portato apposta, e vi nascose il viso e gli occhi pieni di lagrime. Erminia seppe non avvedersi di nulla, ed ebbe l'accortezza di lasciarle assaporare voluttuosamente il dolore del distacco. Alla stazione trovarono la carrozza di Erminia, la quale volle accompagnare l'amica sino a casa. - Rinaldi non è a Milano - le disse rispondendo al movimento di sorpresa che aveva fatto Maria non trovando nessuno ad aspettarla. - È andato a Roma. - Senza scrivermelo! senza lasciarmi una parola! - mormorò Maria. - Sì, ha scritto. La lettera deve averla mio marito -. Ma subito s'interruppe, perché cominciava a spaventarsi dell'agitazione che si andava manifestando sul viso di Maria. - Infine, - le disse, - tosto o tardi devi saperlo. Rinaldi è corso a Roma per regolare degli affari... Sai.. quando si è lontani non vanno sempre come dovrebbero andare. Tuo marito era inquieto. Colla sua gita accomoderà tutto. - Cos'è stato? - balbettava Maria, turbata maggiormente da quell'annunzio perché la sorprendeva in quel momento. - Cos'è avvenuto? - Non ti spaventare; tuo marito sta bene. È accaduto che uno dei suoi debitori è fallito. Questione di denaro. - Ah! - disse Maria respirando; e un'ombra d'ironia le tornò sul viso.
Suo marito sembrava che facesse apposta onde giustificare il sorrisetto amaro di lei. Era così preoccupato del suo affare che non aveva più testa per nessun'altra cosa al mondo. Passarono parecchi giorni senza che ei si facesse vivo altrimenti. Alla fine arrivò un telegramma che mise in grande costernazione il socio di lui, il quale partì subito per Roma. - Oh! - esclamò allora Maria con quell'intonazione pungente che le era divenuta abituale da otto giorni. - Ma dev'essere proprio un affar serio! Del resto per mio marito sarà sempre un affar serio. Vuol dire che il mio posto in questa circostanza, sarebbe vicino a lui. Non me lo dice; ma si capisce che non me ne ha scritto nulla per delicatezza. E giacché il socio è andato a raggiungerlo, dovrei partire anch'io -. Malgrado la leggerezza che ostentava, fu sorpresa, e rimase inquieta osservando che Erminia approvava il suo progetto. Per un istante un'idea nera le si affacciò alla mente e le scolorò il viso; ma subito dopo tornò a ridere nervosamente come prima. - Se mio marito non mi avesse ben avvezzata a lasciarlo fare un po' a suo modo, ci sarebbe davvero di che spaventarsi. - Spaventarsi di che? di fare un viaggio sino a Roma? nella bella stagione, e nel paese più bello?... - Hai ragione; sarà quasi come andare in villeggiatura. Tanto, Roma o la Brianza è lo stesso. E tu non torni a Villa d'Este? - No. - Oh!... - Accompagno mia suocera a Firenze. - Che peccato!... parlo di Villa d'Este, perché ci dev'essere una brillante compagnia in questo momento. Sei proprio una brava figliuola, dovrebbe dirti tua suocera -. La sera stessa partì per Roma; ma era in uno stato febbrile che non sapeva spiegarsi, e la sua inquietudine aumentava avvicinandosi al termine del suo viaggio che le parve eterno. Trovò suo marito tanto mutato in così breve tempo, che al primo vederlo ne fu quasi spaventata. Rinaldi le strinse le mani con effusione; ma sembrò più che sorpreso del suo arrivo improvviso. Egli era così sconvolto che non faceva altro che ripeterle: - Perché sei venuta? Perché venire?... -
- Non avevo mai visto mio marito così! - diceva Maria ad Erminia alcuni mesi dopo, la prima volta che la rivedeva dopo che era tornata a Milano. - Non credevo che la fisonomia di quell'uomo potesse destare tale impressione, né che egli sapesse dire di quelle parole, né che la sua voce avesse di quei suoni che vi sconvolgono l'anima da cima a fondo -. Non l'aveva mai visto così!
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