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I piccoli e grandi legamenti sacro-ischiatici



Ricordiamoci semplicemente che la loro palpazione avverrà in decubito prono e che essi sono la sede di enormi tensioni che possono farli risentire in alcuni casi come delle strutture indurite. Il piccolo legamento è più difficile da mettere in evidenza perché è ricoperto da una grande massa muscolare. Ricordiamoci i loro rapporti con il piramidale e, tra loro, il nervo sciatico. Infine non dimentichiamoci che i legamenti ischiatici sono in rapporto con la regione intrapelvica.

 

 

3) Il legamento comune vertebrale anteriore (fig 116)

Durante delle patologie lombosacrali talvolta è utile testare questo legamento. Il soggetto è in decubito supino con le gambe piegate. Il terapista si pone lateralmente e posiziona i polpastrelli delle dita delle due mani nella parte inferiore della linea alba. Penetra progressivamente e in modo dolce e in profondità fino al contatto osseo. Realizza uno stiramento longitudinale allontanando in senso opposto le dita di ogni mano, poi in modo molto dolce fa uno stiramento trasversale.

La palpazione di questo legamento può essere talvolta molto dolorosa e accompagnarsi a una diffusione di questo dolore a livello lombosacrale o a livello di un percorso radicolare. È evidente che questo test non può che applicarsi a soggetti magri con addome facilmente deprimibile. È inutile volerlo realizzare in un soggetto pletorico. Nella donna potrà essere fatto più facilmente. È inutile precisare che questa palpazione si fermerà alla biforcazione aortica.

 

I legamenti cervico-pleurali (fig 117)

Sono tre e fissano il diaframma cervico-toracico alla prima costa e alle vertebre cervicali. Da dietro in avanti sono:

- il legamento costo-pleurico;

- il legamento trasverso-pleurico

- il legamento vertebro-pleurico.

Nella normalità questi legamenti sono difficilmente individualizzabili ma in caso di tensione si possono facilmente sentire.

Il soggetto è in decubito supino e il terapista è dietro la testa del soggetto. Per facilitare la palpazione, per esempio a destra, occorre sollevare leggermente la testa del paziente con una latero-flessione destra. Con il pollice destro che passa davanti al trapezio si va a livello della apofisi trasversa di D1, dunque del legamento costo-pleurale; poi descrivendo un arco di circonferenza da dietro in avanti si cerca di individuare gli altri fasci. Questa palpazione può avvenire in posizione seduta ma sarà più difficile da realizzare a causa delle tensioni fasciali che sopraggiungeranno. Ricordiamoci che il ganglio stellato è situato in prossimità del legamento costo-pleurale e che quest’ultimo termina in modo bifido (questa biforcazione dà passaggio alla radice D1).

 

Cronologia dei test

Quando abbiamo da testare una zona qualunque del corpo è bene seguire un certo ordine per ottimizzare le informazioni.

- prima di tutto occorre saper osservare e, come abbiamo già detto, ciò può essere molto istruttivo;

- in seguito occorre fare il test di motilità che permette sia di rassicurare il paziente sia di entrare il contatto con i suoi tessuti;

- infine si procede all’esecuzione del test palpatorio e di mobilità.

Ci teniamo a ripetere che sarebbe dannoso limitarsi a un solo parametro. La diagnosi osteopatica deve essere una diagnosi di convergenza, cioè accumulare il massimo di informazioni cliniche, radiologiche, biologiche, test di ascolto e di mobilità e questo per affermare con la minima possibilità di errore l’origine dei lamenti del paziente.


TRATTAMENTO DELLE FASCE

SCOPI DEL TRATTAMENTO

Ogni aggressione, qualunque sia l’origine, sarà seguite da una modificazione in seno ai tessuti (cambiamento della struttura che diventerà granulosa, edematosa, indurita, con aumento della sensibilità miofasciale). Queste modificazioni attraverso dei fenomeni biochimici e meccanici genereranno una disfunzione delle fasce che genererà a sua volta un cambiamento nel comportamento fisiologico di un segmento o di un organo.

Bednar e Coll hanno constatato dei cambiamenti degenerativi nelle fasce che consistono in una separazione dei fasci di collagene con formazione di tessuto misto oltre a infiltrazioni di linfociti e di plasmacellule. In alcuni pazienti si ha una proliferazione vascolare con una anomalia capillare a spese della lamina basale esterna, in altri pazienti si ha la presenza di microcalcificazioni.

Se l’aggressione è troppo forte o se persiste troppo a lungo abbiamo visto che va a perturbare gli scambi tra la sostanza fondamentale e la cellula. Questo fenomeno darà origine ad una irregolarità della cellula nel suo interno e questa irregolarità si evolve verso la cronicità o la patologia. Una delle principali cause di disfunzioni fasciali è attribuita ai traumi. In caso di trauma importante devono essere considerate le fasce di tutto il corpo. Il cambiamento del tessuto può essere immediato o intervenire nella notte o nei giorni seguenti all’incidente. Il trattamento dei traumi deve essere intrapreso il più rapidamente possibile e iniziare preferibilmente attraverso un lavoro tissutale.

Le modificazioni in seno al tessuto connettivo si ripercuoteranno sul sistema simpatico e sensitivo. Questa situazione genererà degli influssi afferenti perturbati, essi stessi all’origine di uno stato di facilitazione midollare creando così un circolo vizioso automantenuto. La facilitazione delle vie simpatiche genererà una perturbazione della secrezione ghiandolare, della vasomotricità, delle funzioni dei visceri….

Questo aumento del tono simpatico può rivelarsi dannoso. Nella normalità il sistema nervoso simpatico gioca un ruolo importante negli aggiustamenti di protezione e di adattamento dell’ambiente interno in rapporto alle variazioni dell’ambiente esterno, al lavoro muscolare, allo stress emozionale….il simpatico inibisce l’attività dei visceri che non sono immediatamente implicati in queste situazioni e diminuisce il debito di sangue in questi visceri e nella pelle a favore dei muscoli striati. Questi periodi sono in generale brevi e seguiti da periodi di riposo. Una simpaticotonia permanente genera una riduzione del debito di sangue, una inibizione delle attività della secrezione, uno spasmo degli sfinteri….. e tutto ciò termina con una lesione o a una disfunzione degli organi coinvolti.

Bisogna notare che le manifestazioni cliniche possono cambiare con il tempo. Una iperidrosi può dar luogo a una ipoidrosi, un angiospasmo può lasciare il posto ad una atonia vasomotrice con stasi, infiammazione, edema…. Ciò vuol dire che lo stato cronico inizia a produrre dei cambiamenti degenerativi, inizialmente può anche non persistere una simpaticotonia evidente o addirittura essere mascherata in qualche modo.

A livello delle ghiandole endocrine una simpaticotonia prolungata modificherà le risposte normali dei tessuti agli ormoni circolanti, inoltre l’ischemia locale che la simpaticotonia genera a livello di tessuti endocrini potrà produrre degli effetti estesi e allontanati dalla zona facilitata.

I processi che si svolgono a livello del segmento facilitato fanno sì che una volta installata, la facilitazione può persistere a lungo dopo la scomparsa dell’irritazione che aveva scatenato inizialmente il processo. In funzione di questi dati appare che una lesione a livello del tesuto connettivo, se è persistente, genererà più o meno a lungo termine un fenomeno lesionale automantenuto, in un secondo tempo dall’entrata in gioco di un sistema neurologico che è esso stesso all’origine di uno stato di facilitazione; si crea così un circolo vizioso che se non verrà interrotto porterà a dei fenomeni degenerativi che perturbano le funzioni fisiologiche.

Lo scopo di un trattamento osteopatico sarà dunque quello di interrompere questo circolo vizioso correggendo gli spasmi, le tensioni, le irritazioni dei tessuti, oltre che lo stato di simpaticotonia, tutto ciò affinchè le fasce ritrovino pienamente il loro stato funzionale.

La liberazione dei tessuti e la correzione delle posture sono di grande importanza per il mantenimento di una buona emodinamica. Se questa emodinamica non è perturbata, gli scambi dei tessuti possono avvenire normalmente. I tessuti saranno ben vascolarizzati e riceveranno dunque tutti gli elementi necessari alla loro funzione (ormoni, proteine…..). i prodotti di scarto relativi al loro metabolismo potranno essere eliminati evitando la stasi locale fonte di disfunzioni. Il sistema neurologico libero da tutte le forzature potrà esprimersi pienamente per facilitare gli scambi e veicolare le informazioni necessarie al mantenimento dell’omeostasi. Dobbiamo dunque sorvegliare che i tessuti siano liberi da tutte le forzature perché queste sono fonte di disfunzioni che con il tempo genererebbero fenomeni degenerativi. Così per esempio se le fasce attorno ad un’articolazione esercitano una sollecitazione mantenuta nel tempo potrà esserci una perturbazione della lubrificazione articolare. Questa perturbazione sarà all’origine di una degenerazione che porterà alla fine ad un’usura precoce dell’articolazione. Il test fasciale consiste, come abbiamo detto, nel decifrare il messsaggio emesso dal tessuto. Quando questo messaggio sarà integrato e compreso il trattamento che ne deriva dovrà apportare una risposta adeguata alle informazioni ricevute.

 

MODALITA' E PRINCIPI

 

Stabiliremo un principio generale per la correzione dei tessuti, che possa applicarsi a tutte le fasce, con riserva di utilizzo solo per le zone interessate e in funzione della patologia. Tale principio avrà lo scopo di ristabilire la funzione del tessuto, risanando in primo luogo la funzione di un tessuto cioè la motilità e la mobilità che saranno loro stesse seguite da una restaurazione dell'emodinamica e del tono nervoso. Nel capitolo dedicato ai test è stato detto che per mezzo della nostra mano si stabilisce dapprima un contatto con le fasce, e successivamente s'instaura un dialogo che permette di decifrare il messaggio emesso dalle stesse. Il trattamento è il prolungamento dei test. Come vedremo nelle tecniche specifiche, la maggior parte delle correzioni fasciali sono direttamente indotte dal test. Al momento in cui si rileva una perturbazione all'interno del tessuto si può agire continuando il dialogo, cioè apportando l'aiuto necessario affinché questa fissazione sia soppressa. Il terapeuta, che fino ad ora era passivo, in ascolto, diverrà attivo e operante.

Due sono le condizioni essenziali in questo compito:

- precisione

- scelta della tecnica giusta

 

La precisione

Indispensabile per il buon esito del nostro trattamento. Più la correzione sarà precisa, più rapidamente otterremo un rilasciamento delle tensioni ; di conseguenzapiù rapidamente il tessuto ristabilirà le sue funzioni fisiologiche. Quando un tessuto è stato traumatizzato, nella maggior parte dei casi è incapace di alleviare il traumatismo. Però, come è stato detto, la fascia è dotata di una memoria, e di una certa intelligenza; pertanto, conosce il proprio problema e pare attendere che un intervento esterno possa conferirgli un impulso che gli serva a ristabilire le sue funzioni. Più questo impulso sarà preciso e adeguato, più facilmente la fascia dialogherà con il terapeuta e sarà pronta a lasciarsi trattare.

 

Scelta della tecnica

In funzione della zona da trattare, del tipo di tessuto, delle diverse patologie o distorsioni riscontrate, si cercherà un'appropriata risposta tecnica. Se si effettua una correzione precisa con un'adeguata tecnica, avremo il più alto margine d'efficacia.

Il trattamento fasciale implica due modalità correttive primarie:

- l'induzione

- il trattamento diretto

-

A- L'INDUZIONE

Principio

Deriva direttamente dal test di ascolto; tale test ci ha mostrato che i tessuti hanno un'attrazione particolare verso il punto di fissazione. Esiste una focalizzazione delle forze che circondano questo punto di fissazione, che rinforzano ancora di più le tensioni al quel livello.

La tecnica consiste, quindi, nel seguire la direzione delle tensioni i tutti i suoi parametri. Talvolta, si può trovare un unico asse di tensione, ma a volte possono esisterne due o tre.

A quel punto è necessario riequilibrare il tessuto in funzione di assi diversi; se ne dimentichiamo anche uno solo la tecnica non sarà valida perché persisterà un elemento di disturbo.

Modalità tecniche

La mano deve esser libera di dirigersi fino al punto di fissazione, a quel punto avremo soppresso gli assi di stiramento e saranno ridotte le forze che si applicano in tal punto. Mantenendo la posizione con una leggera pressione di qualche secondo, o addirittura per uno o due minuti, si potrà indurre un rilassamento che si avvertirà sulla nostra mano.

E' necessario diminuire la pressione e poi rimetterci in ascolto e di nuovo in induzione, fino a che il tessuto non sarà libero in tutti i parametri.

Nel momento in cui si riprende un secondo contatto, è necessario modificare i parametri dell'asse; in effetti, un asse di tensione potrebbe aver ceduto, ma in un secondo tempo un altro preferenziale può apparire. Se non gestiamo in permanenza il nostro aiuto manuale in funzione dei vettori di tensione, bloccheremo la motilità dei tessuti, non prmettendo l’attuarsi della correzione.

In alcuni casi ci troviamo alla presenza di lesioni assai radicate o datate, che difficilmente cedono spontaneamente con una sola messa in equilibrio. E' dunque necessario esser più attivi nel supporto da fornire ai tessuti. La pressione sul punto di fissazione sarà un po’ più accentuata, in modo da realizzare un leggero stiramento; potrà esser allentata per ricominciare a recuperare progressivamente terreno, cinque o sei volte di seguito.

La mano può anche attuare uno stiramento opposto al punto di fissazione, per sollecitare le tensioni tutt'intorno, poi tornare sul punto di fissazione, creare una pressione al suo livello, rilasciare e di nuovo ripartire in stiramento opposto. Il tutto in media per cinque o sei volte.

In genere, con tale trattamento, il tempo necessario al rilasciamento si stabilisce intorno ai tre / cinque minuti, oltre i quali è opportuno interrompere, perché una stimolazione troppo prolungata rischia di generare una risposta inversa a quella voluta, cioè un rinforzamento delle tensioni. Tornando un po’ più tardi sulla zona trattata, è sorprendente constatare un netto miglioramento della situazione. Il tempo di latenza come risposta alla correzione sarà in tal caso aumentato. Talvolta questa latenza può necessitare di ventiquattro ore o addirittura di giorni, in base alla cronicità della lesione o alle capacità di adattamento del paziente.

E' evidente che come accadeva per il test di ascolto c’è la necessità, nell'induzione, di rispettare il ritmo dei tessuti del soggetto. Il micromovimento che realizziamo dovrà essere accompagnato solo da quello dei tessuti, altrimenti supereremo la possibilità di risposta delle fasce ottenendo solo uno spasmo riflesso. L'induzione sarà in particolare adattata ad ampie porzioni di fasce, o ad un equilibrio più generale; risulterà meno efficace sui legamenti, sui mesi, sugli strati fasciali o sugli indurimenti fasciali. Se la zona da trattare è molto estesa, la tecnica si attuerà con le mani distanziate l'una dall'altra. Verranno a crearsi così due punti di fissazione intorno ai quali si potrà mobilitare e armonizzare un segmento di fascia: in realtà, quando un segmento o tutta una fascia è inibita, ha bisogno di un punto fisso esterno, punto intorno a cui rilanciare la sua motilità.

 

B- TRATTAMENTO DIRETTO

Principio

Il trattamento fasciale diretto consiste nel prendere contatto tramite i polpastrelli di uno o più dita, con la zona lesa per mobilitarla, stirarla, inibirla fino a correggere la lesione. Ciò si applica soprattutto su zone specifiche: legamenti, mesos, o segmenti di ascia in cui si è diagnosticato uno strato fasciale, un'aderenza, un punto d'indurimento, una modifica della fascia d'inserzione. Interviene più spesso in fissazioni datate, in cui le modificazioni dei tessuti sono già ben stabilizzate, e in cui l'induzione non è più sufficiente per ristabilire la normalità.

A questo livello si constatano, come abbiamo segnalato, delle modificazioni della visco-elasticità, dei cambiamenti nella struttura della fascia con la comparsa di strati fasciali, madreperlacei, molto tesi, attorcigliati, o delle zone d'indurimento, che vanno dal granello di sabbia al nocciolo d'oliva. Gli scambi a livello dei tessuti sono perturbati, è un'area di importanti tensioni permanenti che andranno ad automantenere i fenomeni degenerativi.

In quest'area la fascia è sottomessa, non più capace di difendersi da se stessa, stordita, incapace di sostenere questo stordimento, necessita di un aiuto esterno per ristabilire i meccanismi fisiologici che sono stati inibiti da un'aggressione.

Sarà dunque necessario risvegliare la zona fasciale lesionata attraverso un'appropriata tecnica, massaggiatura o stiramento, per generare un meccanismo funzionale normale. Questo letargo dei tessuti può durare anni se trascurato, e divenire col tempo nucleo di fenomeni cronici degenerativi.

Nonostante ciò, si è constatato che anche a lunga distanza è sempre importante intervenire, dato che la possibilità, anche minima, di recupero sussiste sempre.

A tal proposito vorremmo citare due esempi, che non sono direttamente legati a un trattamento osteopatico, ma che illustrano perfettamente come un tessuto può recuperare la propria memoria dopo un lungo letargo. I suddetti casi sollevano una serie d'interrogazioni sulla possibilità d'intervenire eventualmente su situazioni all'apparenza disperate, di cui è ancora necessario trovare una modalità tecnica. Il primo, di cui tutte le televisioni hanno parlato, riguarda una giovane americana che scriveva al contrario, tanto che per leggerla occorreva uno specchio; un colpo alla testa le ridona una capacità di scrittura normale. Il secondo caso, di cui un po’ si è parlato, è ancor più straordinario; un uomo di circa settant'anni anni, emiplegico da una ventina d'anni, afasico e in stato di letargo, viene ospedalizzato per un problema cardiaco. A causa di uno stato di agitazione cade dal letto e subì un trauma alla testa, in seguito al quale recupera l'uso della parola e della memoria, come dopo essersi risvegliato da un sonno di vent'anni. Attualmente ha recuperato tutte le sue capacità mentali, ma non quelle fisiche.

I due casi suddetti testimoniano una rimessa in moto dei circuiti, di un contro choc del tessuto nervoso non grazie a un intervento umano ma a un traumatismo benefico. Queste situazioni fanno davvero riflettere.

Modalità tecniche

Le tecniche dirette sono segmentali e consistono in un contatto diretto con la zona da trattare, e partendo dalla zona stessa esercitare una pressione o di uno stiramento più o meno forte a seconda della zona o del segmento coivolto,in funzione del soggetto e dell'origine della lesione.

Certi tessuti necessitano di un contatto dolce e di una forza moderata per riprendere la loro libertà. Altri, invece, richiedono un contatto più fermo e una forza più importante per risvegliarsi, come vedremo. In alcune zone la pressione può risultare al limite del tollerabile. Nell'ultimo caso pare che il punto di pressione esercitato per sopprimere la lesione corrisponda all'effetto dell’ago di Lewit: secondo questo studioso, l'efficacia di un trattamento dipende poco dall'agente immesso, ma è collegato piuttosto all'intensità del dolore prodotto nell'area di rilassamento e alla precisione con cui l’ago (il dito) ha localizzato il punto di sensibilità massima.

A proposito del dolore, era stato detto che poteva essere utile ma ingannevole. Nel caso di lesioni fasciali, è praticamente sempre presente, talvolta eccessivamente vivo. Lo si riscontra sempre nelle bande fasciali, nei punti di indurimento isolati o d'inserzione fasciale. Possiamo dire che nei casi di lesione della fascia, il dolore è un elemento di diagnosi e la sua diminuzione o sedazione è un fattore di riuscita del trattamento. Bisognerà tenerne conto, pertanto, dosando l'intensità in funzione del paziente, della zona da trattare o del tipo di lesione. In effetti, se alcuni pazienti lo tollerano bene, altri ne tollerano una soglia minima che dovrà esser presa in considerazione.

In punti come i legamenti plantari, ad esempio, è possibile una pressione assai dolorosa, cosa che è sconsigliata in punti come nella doccia bicipitale.

In ogni caso, praticando un trattamento con una pressione dolorosa, è prudente non prolungarlo oltre certi limiti, altrimenti ne scaturisce una reazione inversa all'effetto cercato. Le tecniche dirette per trattare una fascia si possono quindi riassumere in:



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